x

x

Gestione del potere, conquista della fiducia

clouds
clouds

Gestione del potere, conquista della fiducia

 

I test psicoattitudinali costituiscono uno strumento conoscitivo e di valutazione delle soft skill, utilizzato un po' da sempre.

Entrando nel mondo del lavoro, ormai più di venti anni fa, questo tipo di prova mi sembrava addirittura divertente. La mia percezione e il punto di osservazione, oggi, sono notevolmente cambiati. Un aspetto su cui non avevo posto sufficiente attenzione, ad esempio, è la necessità di valutare la propensione al potere e la capacità di gestire questo fattore, sia a livello strettamente personale, che all'interno di un gruppo.

Forse in maniera un po' troppo infantile, ero sempre stata portata a pensare che le persone, soprattutto in un contesto lavorativo, si potessero tranquillamente suddividere in due categorie ben distinte: coloro che aspirano in maniera ossessiva al potere da una parte, coloro a cui avere potere non interessa minimamente, dall'altra.

Nel mio approccio semplicistico, insomma, i primi identificano sempre e comunque "i cattivi", i secondi "i buoni" della situazione.

Al solito, l'esperienza lavorativa mi ha insegnato, con le dovute eccezioni, che non è mai esattamente così. Saper gestire il proprio potere, utilizzare adeguatamente strumenti di delega e controllo, sviluppare e affermare la propria autorevolezza rappresentano caratteristiche imprescindibili di un buon manager. Ma non basta. È necessario, secondo me, sviluppare anche una sensibilità, sempre più raffinata, nel riuscire ad individuare la propensione al potere negli altri (siano essi nostri collaboratori o nostri capi, ad esempio). Tenere sotto osservazione questo fattore, ponendo ad esempio nella giusta considerazione l'analisi di alcuni comportamenti "sintomatici" e sviluppare strumenti opportuni per controbilanciarli, può rappresentare una buona tecnica per prevenire potenziali situazioni di conflitto all'interno di un team di lavoro, incanalare potenziali capacità organizzative, potenziare l’approccio al miglioramento, evitare il dissiparsi di energie produttive.

Un atteggiamento che passa spesso inosservato, e che può rivelarsi invece estremamente pericoloso è l'apparente flessibilità mentale e/o l'esagerata accondiscendenza, che nascondono invece un innato desiderio di carpire fiducia, ambire ad assumere a tutti i costi posizioni strategiche, conquistare il comando.

Con un pizzico di ironia, nel mio personalissimo gergo lavorativo, definisco la prima tipologia di individui "uomo/donna prezzemolo" (va bene un po' su tutto), la seconda tipologia "uomo/donna zerbino" (l'immagine dello zerbino rende al meglio).

Ad un'osservazione superficiale questi soggetti sembrerebbero a tutti gli effetti dei vincitori (mi viene subito in mente il protagonista de “Il conformista” di Alberto Moravia).

In realtà, a medio-lungo termine, gli effetti collaterali di questo modo di interfacciarsi con un gruppo di lavoro si rivelano totalmente fallimentari, proprio perché ci si fa beffe di un valore che è fondamentale quando si lavora con gli altri: la fiducia.

A lungo andare, infatti, l'atteggiamento di coloro che ambiscono solo al comando e alla supremazia, viene percepito in maniera ben distinta dagli altri e viene ricambiato con scetticismo e ostruzionismo, più o meno velato.

Un team che percepisce che non può porre fiducia in uno dei suoi componenti ha sicuramente un problema, non lavora al meglio delle sue potenzialità, è portato a sprecare energia in attività che hanno come fine ultimo il "mettere all’angolo" l'elemento di disturbo.

In contesti lavorativi in cui conta sempre di più saper collaborare con gli altri e "fare community", l'aver magari raggiunto il tanto agognato "posto di comando", ma essere, di fatto, isolato a tutti i livelli (non essendo magari accettato/apprezzato né dalla tua squadra né dai vertici) personalmente mi sembra un grande fallimento, forse il peggiore.

Le parole chiave restano autenticità, trasparenza, lealtà, spirito di collaborazione e condivisione.

Seguire questi principi magari implicherà maggior tempo per affermare le proprie capacità, ma le nostre "conquiste" magari saranno più durature e, sicuramente, più fruttuose.

Lavorare in team, e soprattutto saperlo gestire, significa, oggi più che mai, sviluppare la consapevolezza che gli altri non sono "risorse" utilizzate, impiegate o, peggio ancora, manipolate, per raggiungere obbiettivi. Traguardi e obbiettivi si raggiungono insieme, valorizzando le persone e facendo crescere una squadra strutturata su valori ben condivisi. In quest'ottica, quindi, un buon manager non è tanto colui che sa comandare (o almeno non solo) ma colui che sa far crescere e sviluppare talenti.

Se questo, in fondo, è lo scopo, forse, andrebbe posta maggiore attenzione nell'impostazione e all'aggiornamento dei cari vecchi test psicoattitudinali, magari prendendone in giusta considerazione i risultati, prima di archiviarli una volta per tutte nei fantomatici fascicoli dei dipendenti.