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La valutazione del rischio di recidiva in ambito criminologico: come emettere un giudizio prognostico in merito al futuro criminale di un soggetto

criminologia e valutazione del rischio di recidiva
criminologia e valutazione del rischio di recidiva

La valutazione del rischio di recidiva in ambito criminologico: come emettere un giudizio prognostico in merito al futuro criminale di un soggetto

 

Abstract:

Conoscere gli schemi teorici finalizzati all’analisi del rischio di recidiva: quali elementi valutare nella predizione del grado di probabilità che un soggetto torni a commettere crimini.

 

1. Premessa

La recidiva, disciplinata dall’art. 99 del Codice Penale, è la situazione in cui un soggetto, dopo essere stato condannato per un delitto non colposo, ne commetta un altro. Da tempo l’Unione Europea chiede agli Stati Membri di porsi come obbiettivo l’abbattimento del tasso di recidiva, anche tenendo conto degli esorbitanti costi di mantenimento dell’universo penitenziario. È bene ricordare che nel nostro Paese il tasso di recidiva si aggira attorno al 70% e questo è un dato che merita sicuramente un’attenta riflessione: chi ha commesso un reato, chi ha fatto, in un modo o nell’altro, del male a qualcuno, è pronto a farlo di nuovo se non trattato con un adeguato programma di recupero. Pertanto, alle innumerevoli vittime di reato, poco importa di pene più severe o più lunghe se alla fine della detenzione sussiste ancora il rischio di una vittimizzazione, per sé o per gli altri. Ecco che allora occuparsi dei rei, distinguerne le varie tipologie, tentare di capire il funzionamento dei crimini, non significa colludere o giustificare, ma piuttosto prevenire. Il nostro obbiettivo, in questa sede, è capire quali siano i comportamenti a rischio, dove per rischio si intende la possibilità di tornare ad agire l’evento criminoso, a beneficio della sicurezza sociale e della prevenzione delle recidive.
 

2. L’assenza di scientificità nella valutazione del rischio di recidiva

Dovendo valutare il rischio di recidiva in un determinato soggetto, è importante tener presente che non si tratta di un calcolo matematico: esistono certo degli indicatori, che vedremo in seguito nel dettaglio, ma non sono dati scientifici. Essi sono sì il frutto di studi scientifici, precipitato di un’ampia letteratura in materia, non vi può essere certezza che restituiscano risultati affidabili. Il concetto di recidiva si lega indissolubilmente a quello di pericolosità sociale, un concetto elastico e dinamico, frutto di un giudizio multifattoriale e multidimensionale; occorre tener presente che un soggetto può essere considerato socialmente pericoloso in un contesto e non esserlo più in un altro ed essere considerato socialmente pericoloso in un preciso momento e non esserlo più in un altro. In generale, la pericolosità sociale è la situazione in cui è da ritenersi probabile la commissione di ulteriori reati. Non può esistere un metodo di analisi oggettivo, scientifico, perfetto, della pericolosità sociale. Il concetto da cui partire è quello di assenza di scientificità nel calcolo del rischio di recidiva. Tutto ciò premesso, dovendo emettere un giudizio prognostico sul futuro criminale di un soggetto, sono principalmente tre gli aspetti che è necessario considerare e analizzare. I tre piani di analisi sono i seguenti: 1. il il reato; nella valutazione del rischio di recidiva, risulta fondamentale effettuare un’analisi fenomenologica del reato. Ciò significa indagare la criminodinamica, ovvero le modalità esecutive del delitto e la sequenza delle azioni; la ferocia con cui è stato commesso o al contrario se l’esecuzione è caratterizzata da freddezza; se è il primo e in quel caso potrebbe trattarsi di un reato di occasionalità, in cui la spinta criminogena è di tipo episodico/situazionale o se ha carattere di eccezionalità oppure se c’è una reiterazione o addirittura una serialità: in questo caso la spinta criminogena è di tipo esclusivo e potrebbero entrare in gioco i concetti di delinquenza cronica o di abitualità alla delinquenza. Oltre alla criminodinamica, occorre analizzare la criminogenesi, che invece è connessa al secondo aspetto: 2. il profilo personologico, che ha a che fare con la struttura caratteriologica e mentale di un individuo. Si indagano dunque i motivi alla base della commissione del reato per capire cosa l’ha spinto, lo psichismo del reo, con le sue caratteristiche, ma anche l’eventuale psicopatologia, se ci sono carenze sotto il profilo cognitivo, intellettivo, mentale e logico. Infine, è di fondamentale rilevanza la presenza di un’indole violenta, la propensione all’aggressività e la predisposizione all’acting-out, particolarmente accentuata laddove ci siano difficoltà di progettazione e problem-solving, di decodificazione della realtà e di gestione di situazioni ad alto impatto emotivo. 3. Le condizioni socio-economiche; il terzo piano di analisi è quello relativo alle condizioni sociali, economiche, culturali, morali e materiali in cui il soggetto nasce e sviluppa la propria personalità, ovvero il contesto di origine, la dimensione socio-esistenziale di provenienza.
 

3. I due principali schemi teorici di riferimento
 

3.1. La teoria dei contenitori di Reckless

Un concetto utile nella valutazione del rischio di recidiva è quello di “contenitore”, che fa riferimento a quegli elementi in grado di contenere e limitare il tasso di recidiva. Secondo la “teoria dei contenitori” di Reckless, la scelta criminale è determinata dalla carenza di fattori che favoriscano il contenimento della condotta nella legalità. Questi fattori sono definiti da Reckless contenitori ed essi si distinguono in contenitori interni ed esterni. Quelli interni sono legati alle caratteristiche psicologiche del soggetto: capacità di autocontrollo, forza di volontà, autostima, avere un buon concetto di sé, possedere degli standard morali e dei valori etici, capacità di gestione della rabbia, indole. Quelli esterni, invece, sono legati all’ambiente di vita: il contesto, la dimensione di provenienza, le aspettative di successo sociale. Secondo Reckless, è importante studiare l’interazione tra gli uni e gli altri. Dove sono carenti i primi, possono intervenire gli altri per sopperire e compensare; viceversa, se gli uni sono particolarmente accentuati, si rende meno rilevante la carenza degli altri.
 

3.2. La teoria del controllo sociale di Hirschi

L’altra teoria utile alla valutazione del grado di probabilità che un individuo torni a commettere crimini è quella di Hirschi, la “teoria del controllo sociale o teoria del legame sociale”. Secondo Hirschi, gli individui, di per sé, sono naturalmente e fisiologicamente propensi a delinquere. Dunque come non farli delinquere - soprattutto se già hanno commesso reati? Attraverso alcuni fattori protettivi: 1. l’attaccamento: la famiglia o più in generale l’affettività (i legami familiari e affettivi, la rete parentale e amicale). 2. l’impegno: qualcosa che distragga sia dal pensiero criminale sia dalla pratica criminale, che sia in grado di distogliere energie dalla commissione dei reati (il lavoro, la scuola, la palestra, lo sport). 3. il coinvolgimento: sentirsi attratti da qualcosa di sano, positivo e costruttivo: gli hobbies, gli interessi, le passioni; 4. la convinzione: persuadere queste persone della giustezza delle regole morali, convincerle che i principi di legalità siano giusti, trasmettere valori e standard etici-morali.
 

4. I riferimenti abitativi e lavorativi

Un quinto fattore protettivo, sicuramente più materiale e concreto, che infatti non è citato nella teoria di Hirschi, ma di estrema rilevanza nella valutazione del rischio di recidiva, è dato dai riferimenti abitativi e lavorativi, vale a dire la disponibilità di una condizione abitativa stabile e una fonte lecita di reddito. Ciò è particolarmente vero per gli stranieri che migrano nel nuovo Paese privi di riferimenti e per i detenuti giunti a fine pena. Infatti, l’alto tasso di recidiva si deve anche all’incapacità del sistema di prevedere i bisogni e le condizioni degli ex reclusi, come la carenza di risorse professionali, economiche e relazionali, oltre alle difficoltà nel recupero dei legami familiari spesso incrinati. L’immagine che abbiamo del detenuto in uscita è quella di un individuo profondamente disorientato, poiché, dopo anni in cui la propria vita si è svolta all’interno di un Istituto di pena, si assiste non di rado ad un totale blocco della progettualità al momento dell’imminente scarcerazione. Qualsiasi persona, in mancanza di un serio progetto di vita per il futuro, potrebbe facilmente incappare in quella che Francesca Vianello chiama “una sorta di condanna a delinquere”[1]: «i rapporti con le strutture assistenziali del territorio risultano praticamente nulli, così come nulla sostanzialmente appare la fiducia nelle istituzioni preposte al reinserimento. In un tale stato di disorientamento, ad influenzare i tassi di recidiva sarebbero l’alto grado di marginalità nella quale sono confinati gli ex detenuti, le possibili difficoltà nel recuperare un rapporto familiare spesso idealizzato, l’inadeguatezza di prospettive lavorative che, nella migliore delle ipotesi, non offrono spazi di possibile miglioramento. L’esclusione sociale che già preesisteva all’ingresso nell’istituzione totale, sembra essere dal carcere aumentata e consolidata, in un progressivo processo di estraneamento rispetto al territorio, alla famiglia e a se stessi»[2] Di conseguenza, si ritiene che una conditio sine qua non per prevenire la recidiva sia la tempestiva predisposizione di adeguati interventi di accompagnamento e sostegno al momento della rimessa in libertà e a quello immediatamente successivo. Il lavoro, i percorsi scolastici e formativi, le attività ricreative offerti dalla direzione dell’Istituto, dovrebbero poter garantite al ristretto un minimo di autonomia, responsabilizzazione e progettualità per il futuro, ma le croniche carenze di personale e di investimenti che affliggono gli Istituti di pena italiani pongono un grosso ostacolo alle effettive possibilità di rieducazione e risocializzazione del reo.
 

5. Gli indicatori

Quello che dobbiamo fare è una sorta di predizione - che come si è detto, non ha carattere di scientificità - sul grado di probabilità che il soggetto possa commettere di nuovo reati. A questo proposito, esistono alcuni indicatori, che però rappresentano soltanto una base di partenza da cui poi sviluppare altre considerazioni e riflessioni. Di seguito, si elencano gli indicatori che il Prof. Ugo Fornari ha sapientemente schematizzato e che la Prof.ssa Isabella Merzagora ha poi approfondito e rielaborato.

- Indicatori esterni, connessi al contesto e alla realtà di vita passata e attuale del reo:

  • caratteristiche dell’ambiente familiare e contesto sociale di appartenenza;
  • esistenza e adeguatezza dei servizi di assistenza psichiatrica presenti nella zona di residenza;
  • possibilità di (re)inserimento lavorativo o soluzioni alternative ad esso;
  • tipologia, livello e grado di accettazione del rientro del soggetto nell’ambiente lavorativo in cui viveva prima del fatto reato;
  • opportunità di poter usufruire di una sistemazione logistica.

- Indicatori individuali:

  • livello di istruzione;
  • assenza di un’attività lavorativa stabile;
  • assenza di relazioni affettive stabili;
  • assenza di relazioni amicali stabili;
  • precedenti continui cambiamenti di attività o sedi lavorative;
  • isolamento relazionale.

- Indicatori familiari:

  • assenza/presenza della famiglia di origine;
  • presenza di un forte contrasto con la famiglia di origine;
  • mutamenti della vita di coppia;
  • crescita del soggetto in ambienti violenti o maltrattanti.

- Indicatori multidimensionali:

  • status socio-economico;
  • ambiente lavorativo degradato o particolarmente criminogeno;
  • eventuali precedenti penali (facendo attenzione alla tipologia di reati commessi e al momento);
  • eventuali periodi di detenzione;
  • eventuali dipendenze.
 

[1] F. Vianello, Il carcere. Sociologia del penitenziario, Carocci Editore, Roma, 2012, p. 46.

[2]     Ivi, pp. 46-47.