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DIGITALE o UMANO: futuro collaborativo o profano?

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DIGITALE o UMANO: futuro collaborativo o profano?

 

Alla luce degli ultimi sviluppi tecnologici in materia di Intelligenza Artificiale, di sistemi che ci indirizzano sempre più a soluzioni prettamente informatiche e prive di ragionamenti emozionali ed umani, viene da chiedersi se gli algoritmi che attualmente stanno affiancando e supportando varie tematiche, in un futuro non molto prossimo sostituiranno totalmente le decisioni dell’uomo, dettate anche da emozioni e vissuto.

Tutto ciò, oltre ad intervenire nell’aspetto della sfera emotiva del soggetto umano, comporta uno squilibrio sul piano etico e giuridico se si considera la libertà della persona, il diritto all’informazione, privacy.

Si tratta solamente di un modello di immagazzinamento dati e statistiche? In questo momento storico, l’importanza dei dati è al centro di numerosi dibattiti. Basti pensare che tutto deriva da un semplice meccanismo di dati e pertanto fondamentale è poter disporre di dati di valore e non solo fruibili.

È necessario predisporre, dunque, un uso corretto di questi mezzi, ricordando che le correlazioni statistiche sono utili a supporto ma non infallibili.

Si potrebbe porre l’accento all’utilizzo di strumenti che migliorino il benessere degli umani, anziché improntati alla sostituzione dell’umano stesso nel processo decisionale.

Il rischio concreto dell’uso smoderato di algoritmi all’interno della vita comune, si veda per esempio Alexa, Chat GPT e altri similari in campo giurisdizionale, è che il mondo diventi una “algocrazia”.

In cui tutto è pervaso e dominato da algoritmi statistici e qualvolta statici e non anche da emozioni umane. Ai giorni nostri, infatti, l'IA sta influenzando la nostra vita quotidiana - dalle decisioni finanziarie alle diagnosi mediche di precisione, alle decisioni culinarie.

Siamo arrivati al punto di farci consigliare e affidare talune scelte di vita ad assistenti automatici ed è labile il confine che i cellulari tra non molto saranno i nostri consiglieri di vita: dopotutto è comodo chiedere ad ‘’ Alexa” di turno se andare in palestra o a cena fuori, dove, con chi uscire. Il tutto con il rischio concreto che il nostro ‘’ io digitale’’, considerato infallibile e perfetto, pervada sempre maggiormente l’io reale. Viene consapevole porsi una domanda riflessiva e retorica al contempo. Stiamo preferendo il nostro alter-ego digitale al nostro Io umano?

A tal proposito, consiglio la lettura libro di Benanti dal titolo Oracoli – pubblicazione di Luca Sossella Editore - 2018, che rappresenta una prospettiva centrale nell'ambito dell'intelligenza artificiale. In questa pubblicazione si scardina il significato di ‘Algoretica’.

In tale vocabolo si identifica sia lo sviluppo tecnologico e l’etica di applicazione sociale, umana.

È un modello che ci invita a riflettere sulle capacità degli strumenti a disposizione e sulle modalità con le quali le stesse interagiscono ed influenzano persone e società intesa anche come nuovo approccio culturale dell’oggigiorno.

Un interessante spunto riflessivo che mi ha colpito particolarmente e che tengo in particolar modo a condividere in questo articolo, è il modello Neuromarketing indagato da Martin Lindstrom nell’omonimo Libro ‘Neuromarketing’, e che, invito ad approfondire, del quale, si è parlato anche in occasione dell’evento ‘ Umanesimo Digitale’ del 26 Giugno scorso, tramite l’intervento di Gabriella Dore, per la Rubrica U.M 2.0 per chi fosse dei nostri, all’interno di questo accattivante progetto di Gianni Penzo Doria, che pone l’attenzione al valore stesso del vocabolo Umano in varie sfaccettature.

Il concetto pilastro di questa teoria definita Neuromarketing è il modello d’approccio utilizzato che da ‘’ Business to Business ‘’ si trasforma in ‘’ Human to Human’’, proprio a rimarcare l’importanza e a valorizzare l’aspetto umano all’interno del contesto stesso trattato.

Concludendo potremmo in questa epoca di grandi trasformazioni digitali a supporto dell’individuo, paragonarci a Navi che, salpando per nuovi orizzonti, hanno la necessità di abbracciare il cambiamento utile e migliorativo, ma senza abbandonare l’idea di dirigere timone e ammainare le vele, se necessario.