Il paziente-influencer, o meglio, quando l'influencer è il portavoce

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Il paziente-influencer, o meglio, quando l'influencer è il portavoce

 

È una delle prerogative umane, forse tra le più antiche o forse tra quelle di cui siamo meno consapevoli, sebbene sia intrinsecamente legata alla consapevolezza del sé: parliamo della attività di raccontarsi.  

L'essere umano si racconta costantemente, è un modo per tenere traccia di sé stessi, quasi alla ricerca di una definizione; una costruzione narrativa che spazia dal come si è trascorsa la nostra giornata, alla presentazione di sé stessi, al raccontare agli altri cosa e quanto si è fatto, davanti ad un aperitivo, una cena, un pranzo tra colleghi, ai figli, agli amici, i momenti più belli e quelli meno, i successi ed i fallimenti.

Raccontiamo di noi, quotidianamente, molto di più di quello che pensiamo; alle volte stiamo anche attenti alla possibile elaborazione che gli altri possano fare delle nostre narrazioni; quindi, ceselliamo i fatti in nome di una fictio iuris che deve riflettere esattamente quello che desideriamo comunicare.

C'è poi anche un aspetto terapeutico connesso alla attività del narrarsi, che probabilmente è associato alla possibilità di fare una esperienza di sé diversa da quella alla quale si è abituati, chiusi nel pensare e nel rimuginare ci si perde nell'irreale e quindi abbiamo bisogno di uscire e guardarci dall'alto.

Il Treccani cita che il verbo "narrare" origina dall'omonimo latino e che è affine a "gnarus" che significa "consapevole"; ecco quindi che consapevolezza e narrazione appaiono essere, dal punto di vista esperienziale, come binomi a radice comune: si narra se si è consapevoli e la narrazione incrementa la consapevolezza.

Ma non sempre si ha qualcosa da raccontare, a volte si preferisce tacere o a volte non si ha nulla da raccontare; questo perché l'esistenza nel tempo, che è scandita da un incessante, ed incomprensibile, nesso consequenziale, è fatta di atti e fatti che compongono la storia dell'individuo.

La malattia, in particolare, è un accadimento che prima o poi appare nell'esistenza e si fa storia prendendo sembianze umane nel soggetto che ne rimane coinvolto.

È indubbio, anche se a volte conviene ignorarlo, la malattia riporta l'essere umano all'essenzialità della sua esistenza, perché lo fa riscoprire debole, bisognoso e, spesso, diverso da una normalità convenzionale.

Una fenomenologia complessa, pienamente comprensibile solo attraverso la esperienza diretta, che vede l'individuo manifestarsi secondo modalità spesso diverse, con aspetti indubbiamente anche culturali, imprevedibili, multifattoriali.

Ma al di là della esperienza diretta, oggi ancor di più di ieri, al netto di casi particolari, la malattia ha anche una fenomenologia extra personale, quasi sociale.

Lo sanno bene i medici, che della malattia ne fanno una scelta di vita, ma non per subirla (quello accade senza volerlo) piuttosto per risolverla o gestirla. Essi sanno benissimo che se non si distanziano rischiano di rimanere coinvolti, ma non per contagio biologico, bensì per comunanza umana: gli uomini si scoprono tali nella sofferenza, prima sono individui sociali con obiettivi alla ricerca di senso. La sofferenza, quale esperienza forte, accomuna, associa. 

Ci sono, almeno, due aspetti che emergono dalla osservazione contemporanea di questa fenomenologia: il primo è il rapporto paziente-medico, il secondo è il rapporto paziente-mondo esterno.

Qui interessa esaminare alcuni aspetti del secondo fenomeno, con particolare riferimento all'uso dei social network, quale strumento di comunicazione esperienziale e l'eventuale utilizzo economico.

Almeno per quanto concerne il contesto italiano, il caso Ferragni-Balocco/AGCM (che chiaramente non ha nulla a che vedere con la malattia e la sofferenza, se non in via strumentale) ha certamente elevato la attenzione sul ruolo dei cosiddetti influencer, soggetti che ora sembrano essere dotati anche della definizione pseudo-giuridica contenuta nelle Linee Guida dell'Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni (AGCOM), di cui all'Allegato A delibera n. 7/24/CONS del 16 gennaio 2024.

Per potersi definire Influencer un soggetto deve possedere requisiti che riflettono quanto segue:

  • Svolgere attività economica
  • Scopo principale la fornitura di contenuti propri suscettibili di generare reddito attraverso accordi commerciali
  • Responsabilità editoriale
  • Servizio accessibile al grande pubblico
  • Fruizione dei contenuti su richiesta dell'utente
  • Legame stabile ed effettivo con la economia italiana
  • Servizi offerti in lingua italiana e rivolti ad un pubblico italiano.

Si tratta di caratteristiche che, sebbene appaiano abbastanza precise, necessitano di essere contestualizzate per definire meglio se una attività possa effettivamente intendersi svolta professionale e non a livello amatoriale.

Oltre all'elemento soggettivo, necessario al fine di indentificare la figura dell'influencer, l'AGCOM dispone una serie di comportamenti che l'influencer deve osservare; non sembra trattasi di comportamenti specifici dell'attività di influencer, piuttosto atteggiamenti che devono essere osservati da chiunque svolga una qualsiasi attività sulle piattaforme digitali, e non solo.

In particolare: a) non bisogna istigare o provocare a commettere reati, b) occorre garantire il rispetto della dignità umana e non pubblicare contenuti che riguardino l'odio o la discriminazione, c) rispettare le norme in materia di tutela dei minori.

Vi sono poi ulteriori disposizioni da rispettare che potrebbero, invece, ritenersi specifiche di un influencer professionale, ma che anch'esse in realtà, sono applicabili anche a chiunque realizzi una qualsiasi attività comunicativa, ossia: il divieto di tecniche subliminali, il divieto di pubblicità occulta, osservare una presentazione veritiera dei fatti, rispettare il diritto di autore e la proprietà intellettuale.

Un ulteriore aspetto interessante, rilevato dall'AGCOM, nelle citate Linee Guida è il fenomeno dell'influencer marketing, che non si limita al solo soggetto influencer ma si estende a comprendere altre figure che, a titolo professionale, rientrano nel complesso fenomeno influencer. Si tratta per lo più di agenzie specializzate o soggetti analoghi che si pongono come fornitore terzo di servizi, spesso anche come intermediario tra l'influencer e potenziali suoi clienti o collaboratori. Il soggetto che svolge l'attività di influencer marketing non è, in particolare, oggetto di esame nelle Linee Guida, in quanto non ha una responsabilità diretta sulla attività di influencer, tuttavia, svolge un ruolo importante nella intermediazione, nella redazione dei contratti e nella trasparenza comunicativa tra l'influencer ed i propri clienti.

Indubbiamente il caso Ferragni-Balocco/AGCM ha rappresentato l'occasione per accentuare la focalizzazione sul fenomeno, ma probabilmente è stata la punta di un iceberg molto più esteso e dalle diverse sfumature, che ha avuto una propria fenomenologia anche a seguito della recente esperienza pandemica.

È noto il fenomeno dei medici influencer ma anche, e soprattutto, ancora più in generale, del mondo degli influencer che parlano di salute e sanità (si legga a tal proposito: Eugenio Santoro, Gli influencer che parlano di salute e sanitá, Forward, Settembre 2023), fino ad arrivare a teorizzare che nel settore della sanità l'influencer, che non sia un operatore sanitario, può addirittura essere più ascoltato dell'esperto (si legga a tal proposito:  Luciano De Fiore "Medici e influencer", Il Pensiero Scientifico Editore, 25 marzo 2024 ) . Probabilmente è vero se si tratta di un personaggio pubblico, e l'obiettivo è solo quello di veicolare generali messaggi sulla prevenzione e su comportamenti salutistici.

Ma la questione si complica, non poco, quando a parlare come influencer sono persone che soffrono di determinate patologie, magari anche rare ed invalidanti, oppure i loro caregiver.

Un fenomeno senz'altro amplificato dalle ormai note caratteristiche dei social media, seppur con le loro diverse sfumature, e della comunicazione in Internet; nel senso che atteggiamenti, reazioni e modalità di relazionarsi, tipiche dell'essere umano, trovano nei media contemporanei delle potenzialità indiscutibili e, spesso, imprevedibili.

La necessità di raccontarsi, la propensione a narrare per distanziarsi, la ricerca di spazi di solidarietà nelle esperienze della vita, così anche altre sfumature di motivazioni, fanno sì che ampi temi legati alla salute ed alla patologia trovino spazio nell'universo dei social media.

Diversi anni fa, in occasione di una delle tante discussioni sul tema della Data Privacy, quando questa era ancora relegata alle prospettazioni del prof. Stefano Rodotà, un collega ormai prossimo alla pensione, ma esperto di Information Technology, mi disse: "Internet è una finestra sul mondo". Considerazione apparentemente banale ma che di fatto esprimeva la prospettiva vissuta da chi quella frase l'aveva pensata; forse l'atteggiamento del mero osservatore un po' curiosone che faceva capolino per osservare come andavano le cose.

Ma i social media hanno cambiato la prospettiva: pur rimanendo i curiosoni, ha dato a chiunque l'opportunità di esprimersi, a volte senza una primaria elaborazione interna delle affermazioni, a volte oscurati dietro false identità e fors'anche salvi che la comunicazione potesse essere artefatta.

Forse è proprio quest'ultimo aspetto, l'artefatto comunicativo, che non è soltanto l'arte di comunicare o lo studio della comunicazione, che di per sé sono anch'essi elementi impliciti di qualsiasi atto comunicativo, ma la finalità che guida queste operazioni costruttive.

Non è chiaro ancora quanto ed in che modo i temi della salute e della sanità saranno al centro della prossima legislatura europea, ma qualcosa sembra che cominci a muoversi, se non altro in termini di consapevolezza.

La Commissione Europea sembrerebbe pronta a regolamentare il tema degli influencer in particolare quelli legati ai temi della salute, ciò partendo proprio da uno studio dell'Università di Vienna che ha messo in luce come su un campione di 1000 giovani austriaci, il 75% afferma di seguire influencer e circa il 50% dei contenuti multimediale è creato proprio da giovani.

I giovani sembrano essere quindi i maggiori fruitori ed autori di influenti contenuti in materia di salute, anche in materia di salute mentale, e questo a detta della prof.ssa Kathrin Karsay che ha condotto lo studio, porrebbe una questione, perché si tratta di contenuti cliccabili, quindi anche commerciali. 

Senza volerci cimentare in aspetti che attengono più alla psicologia che al diritto o alla mera osservazione socio normativa del fenomeno, sembra che prima ancora di raggiungere un sufficiente quantitativo di seguaci, i contenuti devono essere ben elaborati secondo una finalità prestabilita, e questo va ben oltre il bisogno di raccontarsi (sebbene tale aspetto possa rimanere come retroscena motivazionale della sfera psicologica personale).

Ed è questo uno dei punti sui quali le Linee Guida dell'AGCOM non convincono, esse sembrano voler partire dal fenomeno quando esso ormai ha già preso forma, anziché focalizzarsi sulla attività in re ipsa con la conseguenza che, prevedibilmente, si andranno ad applicare le preesistenti norme sull'ordinamento in materia di comunicazione mentre dall'altro, si buon ben immaginare, che gran parte della discussione verterà sul fatto se un determinato soggetto può considerarsi o meno un influencer.

Certamente, la sua parte la farà il mercato, nel senso che un soggetto difficilmente potrà essere individuato come strumento di marketing se il suo bacino di followers non supera una determinata soglia, per cui tutto quello che sussiste prima potrebbe anche intendersi come una sorta di goodwill, che è pur sempre già attività d'impresa.

Ma ci sono anche gli "influencer per caso", quelli che hanno un discreto numero di followers e che poi scoprono un aspetto allettevole rappresentato dalla possibilità di trarne profitto, sviluppandoli.

Al momento non c'è, quindi, regolamentazione specifica, ma c'è molta attività e le previsioni non sono favorevoli nel senso che tale attività si evolverà secondo paradigmi in parte già immaginabili, favorita dalla intelligenza artificiale, qualora avessimo dimenticato che il best influencer di questo periodo e proprio la medesima intelligenza artificiale, che tiene banco nei migliori social network.

In questo contesto la figura del paziente-influencer non è una novità assoluta, ve ne sono già diversi in tutto il mondo, per lo più nell'ambito delle patologie croniche.

Ma non lo è nemmeno nell'ambito sociale, perché da molti anni c'è molto attivismo sociale attorno a questi temi: meno male!

Un aspetto caratterizza questo status rispetto alla "ferragni del momento": il paziente – influencer è una realtà, che non origina da un costrutto. E questo pone diverse considerazioni che non possiamo disattendere, né possiamo regolamentarlo alla stregua di un qualsiasi altro influencer.

La prima considerazione è che, sebbene possa esercitare la sua attività professionalmente, rimane sempre un soggetto che potrebbe necessitare di una speciale tutela e, probabilmente, proprio a partire da quell'altra figura che le Linee Guida definiscono "influencer marketing"; d'altra parte, lo stesso caso ferragni, al di là del pettegolezzo, ci ha insegnato come le dinamiche tra influencer ed i suoi manager non sono poi cosi irrilevanti.  

La seconda considerazione è che il paziente – influencer è una eccellenza nello status, molto più di un testimonial, in quanto egli immedesima i suoi contenuti. In altri termini potremmo dire che "non narra" ma "esprime"; egli non ha tanto necessità di inventare o di costruire in quanto rappresenta esattamente quello che vuole raccontare, ammesso che parli – ovviamente – della sua patologia. 

Se da un lato questo può favorire in qualche modo la comunicazione, dall'altra lo pone in concorrenza con altri soggetti con i quali condivide l'esperienza della patologia, secondo criteri che sono diversi da quelli ai quali siamo abituati a misurare la concorrenza tra soggetti o imprese che svolgono attività commerciale. 

Per tale motivo, chi entra in contatto con il paziente – influencer, potrebbe doversi misurare con paradigmi non adeguati o rischiare di optare per scelte o comportamenti non sufficientemente valutati.

La terza considerazione è che il paziente – influencer, come fenomeno, rappresenta una sfida di fatto all'assenza di una regolamentazione, anche deontologica, e alza il livello della analisi di una valutazione di eticità strettamente legata a principi di trasparenza e rendicontazione.

Siamo chiaramente fuori dal campo di applicazione di possibili e, addirittura, auspicate collaborazioni tra le industrie farmaceutiche e il modo delle associazioni di pazienti ed i pazienti, in ambiti fondamentali quali il disegno di clinical trial ed il reclutamento negli studi, in quanto si tratta – in questi casi – di forme partecipative alla ricerca, spesso anche con possibilità di accedere a trattamenti sperimentali laddove non esistono cure disponibili.

Per questo può essere fondamentale partire da un dato teleologico in capo al paziente – influencer per comprendere la finalità con la quale egli intende o ha inteso attuare la propria attività, a prescindere dal numero di followers. Questo perché spesso, il passaggio da paziente – influencer a esperto di mercato o opinion leader non è facilmente individuabile o dimostrabile, in assenza peraltro di elementi chiari rinvenibili nell'ordinamento ed utili per la disamina.

Il fenomeno non è nuovo certamente e, come sempre accade, negli Stati Uniti stanno giá un po piú avanti con la elaborazione, tanto che recentemente il dibattito è arrivato anche in Senato, dove è stato proposto di dotare la Federal and Drug Administration (FDA) di nuovi e più penetranti poteri riguardo alla sorveglianza sulla pubblicità ingannevole e la trasparenza dei pagamenti tra le società farmaceutiche e gli influencer.

In Italia, invece, dove la concretezza pragmatica, a volte, soggiace a presupposti concettuali, la Legge 31 maggio 2022 n. 62 "Disposizioni in materia di trasparenza dei rapporti tra le imprese produttrici, i soggetti che operano nel settore della salute e le organizzazioni sanitarie" non contempla i pazienti – influencer e pertanto i soggetti che entrano in contratto con loro non sono tenuti ad osservare le norme in materia di trasparenza, al netto di regolamentazioni deontologiche di settore.

In un contesto così variegato, certamente non scevro da possibili implicazioni, diventa essenziale per chi concretizza relazioni che prevedono il coinvolgimento di influencers effettuare una analisi attenta, non solo alla luce della sussistente regolamentazione ma anche considerando aspetti ancora inesplorati dal legislatore.

I sistemi di compliance, delle imprese o delle associazioni, che usualmente si muovono proprio in ambiti a regolamentazione assente o insufficiente, dovrebbero quindi operare in modo lungimirante, magari prendendo spunto altrove dove de iure condendo qualcosa comincia già a formarsi.