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Intorno agli adolescenti

L’adolescenza è, fra tutte, l’età umana dell’ermetismo
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Intorno agli adolescenti

 

Abstract: L’articolo si propone di esplorare gli spazi, sia quello esterno sia quello interno, degli adolescenti, offrendo agli adulti una chiave di lettura di questa fase della vita

 

Tra gli scritti più acuti e sempre attuali sugli adolescenti spiccano quelli della filosofa spagnola Maria Zambrano: “L’adolescenza è, fra tutte, l’età umana dell’ermetismo. Da qui la violenza, l’angoscia, la finta mancanza di preoccupazioni che patisce e con cui si presenta. Il mondo è troppo pieno per colui che viene dall’infanzia senza essere ancora entrato in quella certa apertura che dà la gioventù. L’adolescenza patisce della mancanza di spazio, del pieno del mondo che lo circonda e del pieno del suo proprio mondo interiore formato dai suoi sentimenti, dai suoi pensieri, dalla chiusura della parola dentro di lui. Patisce, per un modo nuovo di stare nel tempo che lo distingue sia dal tempo dell’infanzia, sia dal tempo che l’attende: quello della gioventù”. Bisogna accostarsi nei confronti dell’adolescenza come si fa per l’ermetismo in poesia: capacità di interpretazione, silenzio, ascolto, pathos, non omologazione. L’adolescenza è una prova delle competenze genitoriali e adulte in generale, è uno step per la genitorialità.

Maria Zambrano aggiunge: “E gli adulti dovrebbero guidare con pazienza e sottigliezza l’animo dell’adolescente verso la scoperta del fatto che, quasi sempre, quando ci si sente defraudati dalla vita è perché la si defrauda da sé: non vi è frode più seria di quella che si fa a se stessi”. Ci si deve avvicinare agli adolescenti non per impartire lezioni di vita ma per proporre letture dello stesso libro della vita, per condividere lo stesso magone che procura l’andare avanti verso l’ignoto.

L’adolescenza può essere considerata una forma di lutto, perché durante la metamorfosi (che è la morte del bruco) il ragazzo vive la morte dell’infanzia e la morte dell’immagine perfetta dei genitori. Anche per questo è ancor più necessario che i genitori educhino, man mano, alla morte (cosiddetta Death Education). La psicoterapeuta Maria Luisa Algini spiega: “La differenza fondamentale tra il lutto degli adulti e quello dei bambini è che i primi possono riconoscere il dolore con le categorie di pensiero che possiedono, con le quali danno un nome alle loro emozioni, mentre i bambini non possono farlo senza l’aiuto di un adulto che li accompagni e offra gli strumenti interpretativi di cui essi hanno bisogno. Il dolore infantile, quanto più è intenso, tanto più resta un segreto che i bambini nascondono anzitutto a se stessi. Perché devono poter crescere e attingere risorse come e dove possono. Salvo poi lasciarlo debordare attraverso segnali oscuri e preoccupanti” (in “Le ferite invisibili. Sui bambini e la morte dei genitori”, 2016). “Quando i diritti del bambino o dell’adolescente sono negati da condizioni dell’esistenza inique, quando i suoi punti di riferimento sono compromessi, è possibile aiutarlo a ritrovare la fiducia nella vita e la stima di sé. Il bambino possiede in lui importanti risorse. Esse si rivelano se egli può dialogare, essere ascoltato con affetto e rispetto, essere difeso” (dalla Charte du BICE, Paris 2007).

Un altro problema che esplode durante l’adolescenza è il bullismo di cui si “pre-occupano” in tanti. Denuncia e contrasto del fenomeno del bullismo; fare “squadra” contro paura e omertà; tentativi di reintegrazione del bullo nella società; uso dell’arte per canalizzare l’energia del bullo; concetto dell’amicizia e del perdono; relazioni in classe e nel gruppo di amici; amori adolescenziali. Questi i messaggi del “romanzo sinfonico” (libro cartaceo arricchito da contenuto digitale), “La teoria della Giostra – Storia di un bullo salvato dalla musica” (2021) del musicologo Giacomo Sances (il cui slogan è “La musica commuove, la musica libera, la musica trasforma!”). I ragazzi hanno bisogno di questo, di musica o di altre forme di arte e non di spettacolarizzazione di ogni cosa.

Dalla seconda Indagine nazionale sul maltrattamento dei bambini e degli adolescenti in Italia (condotta, tra il 2018 e il 2020, da Terre des Hommes e CISMAI, per conto del Garante nazionale per l’Infanzia e l’Adolescenza), risulta che la forma di maltrattamento principale è rappresentata dalla patologia delle cure (incuria, discuria e ipercura) seguita dalla violenza assistita. La famiglia, purtroppo, può essere la prima fucina di violenza, spesso invisibile e inconsapevole, perché i genitori calpestano i sogni dei figli, ignorano i loro veri bisogni, ne anticipano i desideri, si sostituiscono in tutto, pensano solo a cose materiali, non chiedono il parere in caso di trasloco o altre decisioni. “Si registra una grande difficoltà nel riconoscere l’esistenza della violenza ai danni dell’infanzia, difficoltà che si riflette a tutti i livelli: nella società nel suo complesso, nelle città e nei paesi, nelle scuole e nelle singole famiglie. La reazione collettiva e individuale, legata a fattori culturali, educativi e relazionali, ampiamente documentata anche a livello scientifico, coincide sovente con un meccanismo di negazione e di minimizzazione del fenomeno. Guardare alla violenza nei confronti dei più piccoli costringe a riconoscere una realtà drammatica, così come impensabile è che essa sia posta in essere da chi avrebbe l’incarico e la responsabilità di proteggere e guidare una crescita armoniosa dei bambini e degli adolescenti. Riconoscere che ciò avvenga nella società alla quale apparteniamo, nella comunità locale e all’interno delle famiglie, come purtroppo ci riportano le ricerche del settore, impone un processo di presa di coscienza difficile e doloroso” (dal Capitolo 1 del report della seconda Indagine nazionale sul maltrattamento dei bambini e degli adolescenti in Italia, pubblicata ad aprile 2021).

Lo sfruttamento minorile non consiste solo nel far lavorare i bambini prima del tempo consentito ma anche “sfruttare” la loro immagine, il loro tempo, le loro prestazioni per soddisfare sogni, aspettative, programmi degli adulti sia in famiglia sia a scuola sia in altri settori, per esempio recite scolastiche o attività sportive agonistiche, velleità artistiche scelte e praticate solo per compiacimento degli adulti, genitori o altri adulti di riferimento. Ci si lamenta, poi, quando gli adolescenti non si impegnano, implodono, vivono di immagine e di immagini, non coltivano sogni, sono materialisti dimenticando che qualche adulto li ha indotti o ridotti a diventare così.

I giovani non hanno bisogno di sermoni ma di parole feconde ispirate e ispiranti coraggio e responsabilizzazione. Nelle Linee guida sull’infanzia e l’adolescenza (a cura dell’AICS, giugno 2021) si legge al punto 4.9: “[…] la comunicazione deve promuovere autostima e fiducia nei minori e presentarli come protagonisti attivi delle proprie storie e del cambiamento positivo nel mondo; nel dare voce ai minori, occorre evitare che questa sia il mero riflesso di prospettive instillate dagli adulti”.

Il rapporto tra adulti e giovani generazioni dovrebbe basarsi sulla responsabilità, parola e atteggiamento da recuperare: essere consapevoli della responsabilità che si ha nei confronti di bambini e ragazzi per responsabilizzarli a loro volta. Nelle Linee guida sull’infanzia e l’adolescenza (a cura dell’AICS, giugno 2021) è ripetuto più volte l’appello alla responsabilità e, tra l’altro, si legge: “Promuovere un percorso di appropriazione di responsabilità e consapevolezza del ruolo che ognuno è chiamato ad avere nella promozione di valori universali quali la giustizia, l’uguaglianza, la dignità e il rispetto” (punto 4.3.2 “Educazione alla cittadinanza globale”).

Lo psicologo e psicoterapeuta Fulvio Scaparro scrive: “I ragazzi e le ragazze, oggi come ieri, starebbero a lungo in bagno se l’organizzazione familiare e i loro stessi impegni lo consentissero. Del resto un tempo le abluzioni, l’evacuazione, la cura del corpo erano considerate attività sacre da svolgere con lentezza, con tutto il tempo necessario. Ma dietro quella porta chiusa troppo a lungo, l’adulto sospettoso (perché ricorda cosa faceva lui a quell’età, quando poteva chiudersi in bagno) non pensa a nulla di sacro ma a molto di peccaminoso, fumo, masturbazione e chissà che altro. Ma il ragazzo o la ragazza hanno bisogno talvolta di stare semplicemente seduti sul water a leggere o davanti allo specchio per osservarsi, piangere, fare le boccacce, tentare di ovviare o compensare difetti, simulare emozioni (rabbia, gioia, amore, spavento...) o atteggiamenti seduttivi o spavaldi. Le operazioni routinarie della toilette sono un’occasione per toccarsi, manipolarsi, accarezzarsi. L’esplorazione del corpo, in adolescenza, avviene sì nella riservatezza della stanza da bagno ma avendo sempre bene in mente che quel corpo dovrà uscire nel mondo, perché a quell’età bisogna essere all’altezza dell’ambiente che frequentiamo, del gruppo dei pari, ed essere almeno accettati se non proprio ammirati o amati. E qui l’ansia per reali o presunte nostre deficienze, troppo o troppo poco, troppo lungo o troppo corto, troppo grasso o troppo magro, quel troppo e quel poco che presuppongono standard di riferimento che è il mondo esterno a imporci”. I figli, in particolare durante l’adolescenza, hanno diritto alla loro vita privata, a entrare in sintonia con loro stessi, andare oltre la loro pelle, cogliere la differenza tra corpo e corporeità, perché sin dalla nascita invece sono in qualche modo “oggettivizzati” perché vengono mostrati come figli, vestiti, puliti, nutriti, accompagnati e così via, anche oltre il necessario. È una questione di salute e libertà.

E l’adolescenza è un’istanza di salute (letteralmente “salvezza”) e libertà (nel diritto romano “libero” era chi nasceva da genitori liberi) da parte della vita stessa, di ciclo in ciclo