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La Dymo

Etichettatrice Dymo
Etichettatrice Dymo

La Dymo
 

La chiamano Dymo, si tratta di una piccola etichettatrice molto in voga negli uffici di quasi quarant’anni fa, con un semplice meccanismo di rotazione e scatto crea etichette a rilievo accattivanti per organizzare qualsiasi cosa: oggetti, recipienti, raccoglitori. Si usa meno rispetto al passato, ma la sua efficacia vintage non ha perso smalto; con un po’ di pazienza, lettera dopo lettera, si può ancora definire tutto nel modo più efficace possibile e mettere ordine.

C’è proprio bisogno di dare un nome alle cose, è come se, solo nel momento in cui vengono nominate, cominciassero a esistere e, forse, ad appartenerci. La nostra socialità necessita di questo, d’altronde, e noi, nel nostro piccolo, lo riproponiamo come metodo per poter raccogliere in un grande faldone blu tutti gli eventi in ordine logico e cronologico che, con soddisfazione e un po’ di orgoglio, vorremmo cedere ai nostri eredi, se non fosse che la catalogazione risulta spesso più ardua del previsto. Gli imprevisti, infatti, soffiano potenti e strappano anche le definizioni più accurate, così, mentre ci affrettiamo a riscrivere un titolo per quel capitolo inaspettato, in quel vuoto di significato, ci assale uno smarrimento.

Nessuno ci aveva mai raccontato quello che accade tra un’etichetta e l’altra.

Siamo solo uomini e non sappiamo come gestire il divenire così prorompente e senza nome che si agita dentro e fuori dalla nostra casa quando è senza finestre né porte, nuda ed esposta alle intemperie. Abbiamo una fottuta paura di tutto quel vento, non sappiamo quale tempesta si presenti all’orizzonte, ma si intravede un cielo insolito che si mescola ai nostri pensieri e non fa presagire niente di buono. Se solo avessimo la forza di mettere a terra quell’armatura di carta, se solo avessimo coscienza che quel panico è l’ultima barriera tra noi e la forza, ci lasceremmo attraversare da quel grido, spalancheremmo le braccia per accogliere quell’energia prorompente che non ci vuole male, che non ci abbatte, ma ci nutre di infinito e ci svela un segreto.

Un divenire imperioso che scopriamo essere della nostra stessa materia, non avvizzita, bensì ristorata, forte, viva come mai, prima di quel momento, avremmo immaginato.

Storditi mettiamo un passo dopo l’altro, desiderando con intensità voluttuosa di stare al mondo, di assaporare le cose, niente è scontato. Siamo uomini, tuttavia, e dobbiamo dare un nome. Prendiamo la nostra Dymo e con le mani tremanti ci accingiamo a etichettare quella novità, questa volta però nell’imprimere le lettere a rilievo sorridiamo, perché sappiamo ormai che tutto è nostro e al contempo non è nostro; tra i fascicoli di quel faldone nuovo di pacca soffia già un vento inaspettato.