La legge "salva casa" n. 105/24 tra dubbi e certezze: quali prospettive per le aree vincolate?
La legge "salva casa" n. 105/24 tra dubbi e certezze: quali prospettive per le aree vincolate?
PREMESSA
Il 28 luglio 2024 è entrata in vigore la legge n. 105 del 2024, di conversione del d.l. n. 69 del 2024 (c.d. "SALVA CASA").
Tale legge ha introdotto, come è noto, significative modifiche al Testo unico dell'edilizia (d.P.R. n. 380/01), semplificando le procedure di regolarizzazione degli immobili e i mutamenti di destinazione d’uso ed inserendo, altresì, l’art. 36 bis, avente ad oggetto un nuovo accertamento di conformità urbanistica, ovvero di "monoconformità urbanistica", con riguardo:
- agli interventi eseguiti in parziale difformità dal permesso di costruire o dalla SCIA alternativa o con variazioni essenziali;
- agli interventi eseguiti in assenza o difformità dalla SCIA semplice.
In base a quanto previsto da tale nuova disposizione, gli interventi ritenuti meno gravi, per i quali l'art. 36 del d.P.R. n. 380/01 prevedeva, nel testo originario, l’accertamento della c.d. “doppia conformità” (conformità urbanistica sia al momento della realizzazione delle opere sia al momento della presentazione della domanda) sono ora svincolati da tale regime e assoggettati a diversa disciplina, secondo cui, per la sanabilità, è sufficiente, come meglio si dirà in seguito, la sola conformità:
- alla disciplina edilizia vigente al momento della realizzazione dell’intervento;
- alla disciplina urbanistica vigente al momento della presentazione dell’istanza.
L’IMPATTO DELLE NUOVE NORME SUI GIUDIZI IN CORSO
In tale mutato assetto normativo si è posta la questione dell’impatto delle nuove disposizioni sui contenziosi già avviati e, dunque, pendenti: questione affrontata e risolta dal Consiglio di Stato, Sez. II, con la recente sentenza del 9 settembre 2024, n. 7486.
La vicenda
Il caso oggetto di esame riguardava il diniego di accertamento di conformità ex art. 36 del d.P.R. n. 380/01, contestato dall'appellante, e l’ordinanza di rimessione in pristino dello stato dei luoghi relativa ad opere eseguite sull’immobile di sua proprietà, facente parte del complesso Villa Pignatelli di Monteleone sito nell'area orientale di Napoli ma ricadente all’interno del centro storico e in zona assoggettata a vincolo paesaggistico.
Si trattava, in particolare, di un cambio di destinazione d'uso di un locale deposito (categoria catastale C/2) in unità abitativa (categoria catastale A/3) costituita da due vani, cucina, corridoio, wc e ripostiglio, ubicato per di più in zona rossa vesuviana, in base alle previsioni del Dipartimento della Protezione civile, dove, secondo la legge della Regione Campania n. 21 del 2003, “non è consentito il cambio di destinazione d’uso a fini residenziali perché costituisce aumento del carico antropico”.
Il T.A.R. aveva ritenuto legittimo il diniego e il conseguente ordine di ripristino per insussistenza del requisito della "doppia conformità" di cui all'art. 36 del d.P.R. n. 380/01, poichè la strumentazione urbanistica precludeva la possibilità del cambio di destinazione d'uso da vano deposito a residenza.
Tuttavia, in sede di appello al Consiglio di Stato, l'interessato evidenziava di aver presentato, nelle more, una nuova istanza di sanatoria in base al d.l. n. 69/24, apparendo l'intervento sanabile ai sensi del sopravvenuto art. 36-bis del d.P.R. n. 380/01.
La sentenza del Consiglio di Stato, Sez. II, n. 7486/24
Il Consiglio di Stato ha, da un lato, respinto l’appello, spiegando che l’avvenuta presentazione dell’istanza di sanatoria ai sensi del D.L. n. 69/24 non può influire sull’esito del giudizio in corso avente ad oggetto la "legittimità" dell'ordine di ripristino (e tanto in applicazione del principio consolidato in giurisprudenza secondo cui la presentazione di una richiesta di sanatoria non incide mai sulla legittimità del provvedimento) e, dall'altro, chiarito che la presentazione di una nuova istanza ne sospende, comunque, l’efficacia fino alla pronuncia definitiva del comune (v., sul punto, anche Cons. Stato, Sez. VI, 8 agosto 2023, n. 7680, e Cons. Stato, Sez. VI, 4 luglio 2023, n. 6504).
In altri termini, secondo il Consiglio di Stato, una nuova istanza di sanatoria, formulata ai sensi dell'art. 36-bis del d.P.R. n. 380/01, se favorevole per il privato, rappresenterà una sopravvenienza tale da rendere legittimo l’intervento sulla base della nuova normativa e, dunque, a prescindere da quanto affermato nella sentenza di rigetto relativa al precedente ordine di ripristino.
Viceversa, se sfavorevole, non potrà che riprendere efficacia il precedente provvedimento sanzionatorio.
Tale principio riveste sicuramente importanza sul piano pratico, nel senso che la sua applicazione vale, se non ad annullare, quantomeno a paralizzare l'efficacia dei provvedimenti precedentemente adottati, laddove non siano stati già portati ad esecuzione: e tanto sempre che il privato decida di avvalersi della nuova legge, presentando al comune apposita istanza di riesame
L'INUTILE RIMEDIO ALLO “STALLO DELLE COMPRAVENDITE”.
Le ragioni del fabbisogno abitativo
La nuova legge - come emerge dalla stessa relazione illustrativa - è volta soprattutto a fornire un riscontro immediato e concreto al crescente fabbisogno abitativo, sostenendo, al contempo, il conseguimento degli obiettivi di recupero del patrimonio edilizio esistente e di riduzione del consumo del suolo.
Tra le finalità perseguite dalla legge vi è, invero, quella di rimuovere gli ostacoli - ricorrenti nella prassi - che determinano lo stallo delle compravendite immobiliari a causa di irregolarità formali, con conseguente tutela anche dell’affidamento dei proprietari, i quali, avendo legittimamente acquistato immobili in assenza di irregolarità risultanti da atti pubblici, finiscono, poi, per trovarsi nell’impossibilità di alienarli, ostandovi problemi interpretativi determinati da oscillazioni giurisprudenziali e, in taluni casi, l’accertamento di piccoli abusi dei quali ignoravano prima l'esistenza.
Secondo le intenzioni del legislatore, la nuova normativa persegue principalmente, attraverso l'introduzione di misure di semplificazione, lo scopo di favorire il mercato immobiliare sia in termini di acquisto dei beni sia in termini di locazione degli stessi.
È evidente, pertanto, che questa legge “SALVA CASA” non introduce una sanatoria in senso “tecnico”, sulla falsariga delle sanatorie straordinarie previste nel passato dalle tre leggi che hanno introdotto i condoni edilizi, con possibilità, per gli interessati, di presentare istanza di regolarizzazione entro limiti temporali definiti, ma introduce una disciplina “a regime”, che va ad innestarsi sulla previgente disciplina dettata dal T.U. in materia edilizia, modificandone alcune norme, sulla scia di quanto previsto dal precedente Decreto Semplificazioni n. 76/20, convertito nella legge n. 120/20.
La commerciabilità degli immobili (Cass. SS.UU. n. 8230/2019)
La legge "SALVA CASA", prevedendo la possibilità di regolarizzare le lievi difformità, in pratica gli abusi c.d. “minori”, non incide in maniera rilevante, al di là dei motivi addotti, sulla “commerciabilità giuridica” degli immobili.
Infatti, la commerciabilità degli immobili, come chiarito dalla nota sentenza della Suprema Corte resa a Sezioni Unite il 22 marzo 2019, n. 8230, è esclusa solo se manca in un atto traslativo o divisionale la dichiarazione del titolo edilizio (anche eventualmente in sanatoria) con il quale sia stata approvata l'attività edificatoria o di recupero.
In altre parole, per le Sezioni Unite, gli atti di trasferimento di immobili difformi da quelli descritti nel titolo sono validi a condizione che gli estremi del titolo siano menzionati nell'atto, mentre è irrilevante e non costituisce motivo di nullità la conformità o difformità dell'immobile rispetto al titolo menzionato.
È questo il tema della c.d. "nullità testuale" (per espressa disposizione di legge), sul quale non mi dilungo.
Quale conclusione può, dunque, trarsi sul punto?
La legge "SALVA CASA" è stata voluta e giustificata soprattutto per risolvere il problema della commerciabilità degli immobili che, tuttavia, era stato già affrontato e risolto con la richiamata sentenza delle Sezioni Unite.
Ciò dimostra che spesso il nostro legislatore rinuncia a fare il proprio mestiere, attingendo a piene mani alle sentenze dei giudici, dimenticando, però, che questi ultimi “applicano e non creano il diritto”.
Prima di passare all'esame, nello specifico, delle misure introdotte, è necessario porsi un altro interrogativo.
LA LEGGE “SALVA CASA” SALVA DAVVERO LE CASE?
Questa legge, prim’ancora di essere varata, è stata definita dal Governo come legge "SALVA CASA".
Ma è proprio così?
Se per casa intendiamo una nuova costruzione, comportante la creazione di nuovi volumi e superfici tali da dar luogo ad una trasformazione del territorio, la risposta non può che essere negativa anche perché, incidendo soltanto sul T.U. dell'edilizia e non anche sul Codice del Paesaggio, ovvero il d.lgs. n. 42/04, la legge produce limitati effetti per le aree vincolate (se non per taluni aspetti procedurali in relazione ad alcune categorie di interventi e per le modifiche apportate all'art. 167 del Codice, di cui parlerò in seguito).
Il sistema sanzionatorio e gli ordini giudiziali di demolizione
La legge non si occupa, inoltre, del sistema sanzionatorio relativo agli abusi edilizi, limitandosi a prevedere che il termine per l'ottemperanza all'ordinanza di demolizione del tecnico comunale possa essere prorogato dagli attuali 90 giorni a 240 giorni in presenza di "comprovate esigenze di salute o di gravi situazioni di disagio socio-economico".
Non un solo cenno, tuttavia, è contenuto nella legge alle demolizioni giudiziali che soprattutto in Campania, nel disorientamento generale, avvengono a “macchia di leopardo”, senza alcun criterio logico o cronologico e quasi sempre a danno dei soggetti più vulnerabili, sebbene la Corte europea, con una recente sentenza dell'11 aprile 2023 (Case of Simonova v. Bulgaria), abbia ammonito sulla non necessità della demolizione "in una società democratica" quando colpisce l'unica casa del contravventore.
Va, inoltre, considerato che l’ordine di demolizione collegato alla sentenza di condanna è stato introdotto per la prima volta nel nostro ordinamento dalla legge n. 47 del 1985.
L’istituto, dunque, è vecchio di circa quarant'anni.
È risaputo - del resto - che l’ordine di demolizione emesso contestualmente a una sentenza di condanna viene meno solo in presenza di una causa di incompatibilità sopravvenuta.
Orbene, le cause di incompatibilità sono rappresentate, secondo consolidata giurisprudenza, sia dal rilascio del permesso di costruire in sanatoria (Cass. pen., Sez. III, 2 marzo 2022, n. 7293) che dalla acquisizione, allorquando il Consiglio comunale deliberi la conservazione delle opere nel rispetto dei requisiti previsti dal comma 5 dell'art. 31 del d.P.R. n. 380/01 (Cass. pen., Sez. III, 4 settembre 2023, n. 36579).
L’acquisizione preordinata alla demolizione
Per quanto attiene, in particolare, all’acquisizione, va detto che la legge "SALVA CASA" ha apportato modifiche anche al comma 5 dell'art. 31 del T.U. dell'edilizia, relativo agli effetti di tale sanzione, inserendovi una disposizione che definire singolare è un eufemismo.
Tale disposizione così recita:
“Nei casi in cui l'opera non contrasti con rilevanti interessi urbanistici, culturali, paesaggistici, ambientali o di rispetto dell'assetto idrogeologico, il comune, previa acquisizione degli assensi, concerti o nulla osta comunque denominati delle amministrazioni competenti ai sensi dell’articolo 17-bis della legge n. 241 del 1990, può, altresì, provvedere all'alienazione del bene e dell'area di sedime determinata ai sensi del comma 3, nel rispetto delle disposizioni di cui all'articolo 12, comma 2, della legge 15 maggio 1997, n. 127, condizionando sospensivamente il contratto alla effettiva rimozione da parte dell'acquirente delle opere abusive. È preclusa la partecipazione del responsabile dell'abuso alla procedura di alienazione. Il valore venale dell'immobile è determinato dall'agenzia del territorio tenendo conto dei costi per la rimozione delle opere abusive”.
La norma in questione sta a significare, in buona sostanza, che il comune potrà vendere l'immobile, una volta accertato che lo stesso non contrasta con rilevanti interessi urbanistici, culturali, paesaggistici, ambientali o di rispetto dell'assetto idrogeologico, ma il contratto di compravendita dovrà essere, in tal caso, sospensivamente condizionato alla demolizione delle opere.
E questa è una vera assurdità.
L’irragionevolezza della disposizione
Si è al cospetto, infatti, di una norma che non esito a definire "suicida", mutuando l’espressione dalla categoria delle “sentenze suicide”, che, come è noto, identificano le forme più abnormi o illogiche di argomentazione e decisione dei giudici, ovvero la palese incompatibilità tra motivazione e dispositivo.
Se, dunque, si vende l'immobile, evidentemente si è deciso di conservarlo per poi ricavarne un utile, trasferendolo a terzi.
Se lo si acquista, lo scopo è quello di goderne.
Se poi lo si deve demolire, colui che lo ha acquistato cosa ci guadagna?
Ha speso i suoi soldi, regolarmente incamerati dal comune, per godere del solo terreno sul quale l'immobile era stato edificato?
E che se ne fa del terreno, dopo aver versato il prezzo per l'acquisto del bene?
Che norma è questa?
Anche chi non mastica diritto intuisce che una disposizione simile cozza palesemente con il buon senso.
Sfido io a trovare in Italia un solo acquirente propenso a fare un'operazione del genere.
Induce a riflessioni anche il fatto che, con questa disposizione, la quale, secondo la giurisprudenza costituzionale, è una norma di principio (fondamentale e di riforma economico-sociale), dunque non derogabile dalle Regioni (Corte costituzionale n. 24 del 29 novembre 2021, dep. 28 gennaio 2022), finisce per impattare, vanificandone in buona parte gli effetti, anche contro la legge "Caldoro" della Regione Campania n. 5 del 2013 (art. 1, comma 65) sul social housing, che pure aveva previsto la possibilità di conservazione e di utilizzo dell'immobile abusivo, con preferenza a favore del contravventore che, al tempo della acquisizione, occupava l'immobile.
Non va sottaciuto, inoltre, che tale normativa regionale è anche passata indenne all’esame della Corte costituzionale che, con sentenza n. 7 del 2023, ha dichiarato inammissibile un incidente di costituzionalità sollevato dalla Corte di appello di Napoli sulla base di argomentazioni analoghe a quelle ritenute fondate dalla stessa Consulta con la sentenza n. 140 del 2018 (sulla demolizione quale "esito normale" dell'acquisizione).
La nuova norma, in conclusione, vieta la conservazione dell'immobile in caso di vendita.
Nulla dice, però, sulla locazione, opzione - questa - pure prevista dalla richiamata norma regionale quale alternativa alla dismissione.
LE PRINCIPALI MISURE IN DETTAGLIO
Venendo ora alle principali misure introdotte, un secondo interrogativo si pone.
Quali irregolarità possono essere sanate con la legge “SALVA CASA”?
Sono tre le tipologie di difformità (o tre livelli crescenti di irregolarità) prese in considerazione dalla nuova normativa, ovvero:
- le difformità formali, derivanti da incertezze interpretative della disciplina vigente rispetto alla dimostrazione dello stato legittimo dell'immobile;
- le difformità edilizie interne (cd. "tolleranze costruttive"), risultanti da interventi spesso stratificati nel tempo, realizzati dai proprietari dell’epoca in assenza di formale autorizzazione o segnalazione, per i quali è difficile comprovare lo stato legittimo dell’unità immobiliare;
- le parziali difformità e le variazioni essenziali finora non sanabili a causa della disciplina della "doppia conformità".
Quanto agli istituti, le novità si registrano con particolare riferimento alle seguenti tematiche:
- Accertamento di conformità (superamento della doppia conformità e determinazione delle variazioni essenziali).
- Stato legittimo degli immobili.
- Mutamento della destinazione d’uso.
- Tolleranze costruttive ed esecutive.
- Regolarizzazione delle varianti in difformità dal titolo rilasciato prima della legge n. 10/77 (c.d. Bucalossi).
- Sanzioni per interventi eseguiti in parziale difformità dal permesso di costruire.
- Recupero sottotetti.
- abitabilità
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LA “MONOCONFORMITÀ” URBANISTICA DI CUI ALL’ART. 36-BIS
Per sanare gli interventi realizzati in parziale difformità o con variazioni essenziali rispetto ai titoli rilasciati non sarà più necessario rispettare la doppia conformità urbanistica, cioè sia le disposizioni della strumentazione urbanistica applicabili al tempo della realizzazione delle opere che quelle vigenti alla data di presentazione della domanda.
Infatti, per effetto delle nuove disposizioni - nei casi di parziale difformità o variazione essenziale - il responsabile dell’abuso, o l’attuale proprietario dell’immobile, può ottenere il permesso di costruire in sanatoria e presentare la segnalazione certificata di inizio attività in sanatoria se l’intervento risulti conforme:
- alla disciplina urbanistica (relativa alle volumetrie e agli indici edificatori, alle destinazioni d’uso e agli standard) vigente al momento della presentazione della domanda;
- ai requisiti prescritti dalla disciplina edilizia (ovvero alle norme tecniche di cui al D.M. MIT del 17 gennaio 2018, comprendenti le disposizioni sulla progettazione sismica e sull'efficientamento energetico, nonché le disposizioni tecnico-estetiche, igienico-sanitarie, di sicurezza e vivibilità degli immobili) vigente al momento della realizzazione dell’intervento.
Resta invece confermata la disciplina vigente dell’accertamento della doppia conformità nei casi di assenza o totale difformità rispetto al permesso di costruire o alla segnalazione certificata di inizio attività.
L’epoca di realizzazione dell’intervento è provata mediante eventuali informazioni catastali di primo impianto o altri documenti utili, quali le riprese fotografiche, gli estratti cartografici, i documenti d’archivio o altri atti pubblici o privati.
Nei casi in cui sia impossibile accertare l’epoca di realizzazione dell’intervento mediante la documentazione rinvenuta, il tecnico incaricato attesta la data di realizzazione con propria dichiarazione e sotto la sua responsabilità.
Il permesso di costruire è rilasciato dallo Sportello unico dell'edilizia.
Sul tema si registra una recente ordinanza della Corte di appello di Napoli del 26 giugno 2024, con la quale si afferma che:
"L'art. 36-bis non pare affatto rinunciare al criterio della doppia conformità, dal momento che il primo comma della disposizione in commento si chiude precisando che l'ottenimento del permesso di costruire in sanatoria è subordinato alla condizione che l'intervento risulti conforme alla disciplina urbanistica vigente al momento della presentazione della domanda, nonché ai requisiti prescritti dalla disciplina edilizia vigente al momento della loro realizzazione. Appare di tutta evidenza che la norma in commento, seppur attraverso il ricorso ad espressioni formalmente differenti, intenda richiamare il medesimo concetto: e cioè che la conformità agli strumenti urbanistici debba sussistere sia con riferimento alla disciplina urbanistica dell'epoca di realizzazione dell'intervento che a quella dell'epoca di presentazione della domanda".
La criticità della decisione risiede, senza dubbio, nella equiparazione della conformità edilizia con quella urbanistica, concetti che, però, non possono essere utilizzati come sinonimi, rispondendo, come si è visto, a diverse finalità e non essendo affatto sovrapponibili.
La sanatoria c.d. “condizionata”
In sede di esame delle richieste di permesso, lo Sportello unico dell’edilizia può condizionare il rilascio del provvedimento alla realizzazione, da parte del richiedente, degli interventi edilizi necessari ad assicurare l’osservanza della normativa tecnica di settore relativa ai requisiti di sicurezza.
La richiesta del permesso di costruire e la segnalazione certificata di inizio attività in sanatoria sono accompagnate dalla dichiarazione del professionista abilitato che attesti le necessarie conformità (per la conformità edilizia, la dichiarazione è resa con riferimento alle norme tecniche vigenti al momento della realizzazione dell’intervento).
In relazione alla SCIA, la norma specifica che lo Sportello unico individua tra gli interventi con tali finalità le misure da prescrivere ai sensi dell’art. 19, comma 3, secondo, terzo e quarto periodo, della legge n. 241/90.
Lo Sportello, quindi, entro il termine di 30 giorni dalla presentazione della SCIA (come previsto dall’art. 36-bis, comma 6, che rinvia espressamente all’art. 19, comma 6-bis, della legge n. 241/90), può invitare il privato ad eseguire i lavori entro un certo lasso temporale, decorso inutilmente il quale la SCIA si consolida.
In proposito, va ricordato che la sanatoria condizionata non è mai stata vista con favore sia dalla giurisprudenza penale che da quella amministrativa.
D’altronde, anche di recente, la Corte di Cassazione, Sez. III penale, ha affermato, con sentenza del 7 febbraio 2024, n. 5486, che “è illegittimo, e non determina l’estinzione del reato edilizio di cui all’art. 44, lettera b), del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, il rilascio di un permesso di costruire in sanatoria condizionato all’esecuzione di specifici interventi finalizzati a ricondurre il manufatto abusivo nell'alveo di conformità agli strumenti urbanistici, in quanto detta subordinazione contrasta ontologicamente con la ratio della sanatoria, collegabile alla già avvenuta esecuzione delle opere e alla loro integrale rispondenza alla disciplina urbanistica (ex plurimis, Sez. 3, n. 28666 del 07/07/2020, Rv. 280281)”.
Alle medesime conclusioni perviene anche il Consiglio di Stato, Sez. VI, nella sentenza del 15 novembre 2023, n. 9776, con la quale è stato ribadito che:
“L’accertamento di conformità non può essere subordinato alla realizzazione di ulteriori interventi edilizi che rendano l'abuso conforme agli strumenti urbanistici. Questa conformità deve infatti già sussistere precedentemente e non all'esito di una futura ed ulteriore attività da parte del richiedente. La cosiddetta "sanatoria condizionata", caratterizzata dal fatto che i suoi effetti vengono subordinati all'esecuzione di specifici interventi aventi lo scopo di far acquisire alle opere il requisito della conformità alla disciplina urbanistica ed edilizia che non posseggono, non è prevista dall'assetto normativo di cui al d.P.R. n. 380 del 2001, in quanto l'art. 36 si riferisce esplicitamente ad interventi già ultimati. La disciplina stabilisce che la "doppia conformità" debba sussistere sia al momento della realizzazione dell'opera, sia al momento della presentazione della domanda di sanatoria. Un eventuale permesso di costruire in sanatoria contenente prescrizioni sarebbe in contrasto con tale disciplina normativa in quanto postulerebbe non la "doppia conformità" delle opere abusive pretesa dalla disposizione in parola, ma una sorta di conformità ex post, condizionata all'esecuzione delle prescrizioni e quindi non esistente al tempo della presentazione della domanda di sanatoria, ma, eventualmente, solo alla data futura ed incerta in cui la richiedente avrebbe ottemperato alle prescrizioni (in termini C.d.S., Sez. VI, n. 8713/2022 e n. 10317/2022; Sez. VII, n. 8985/2023). Al contrario, la sanatoria di cui all'art. 36 d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, si fonda sul rilascio di un provvedimento abilitativo sanante da parte della competente Amministrazione, sempre possibile previo accertamento di conformità o di non contrasto delle opere abusive non assentite agli strumenti urbanistici vigenti nel momento della realizzazione e in quello della richiesta, previo accertamento di compatibilità paesaggistica nelle ipotesi in cui l'area sia assoggettata a vincolo paesaggistico e che è tassativamente limitato alle sole fattispecie contemplate dall'art. 167, comma 4, del d.lgs. 42/2004 (C.d.S., Sez. IV, n. 1874/2019)”.
La legge "SALVA CASA" prende le distanze dalla contraria giurisprudenza, riconoscendo espressamente la possibilità di condizionare la sanatoria alla esecuzione degli interventi necessari a garantire gli interessi tutelati.
In tema, va sottolineato che, per le unità immobiliari ubicate nelle zone sismiche, ad eccezione di quelle a bassa sismicità, l'art. 36-bis prevede l'applicabilità, in quanto compatibili, delle disposizioni dell'art. 34-bis, comma 3-bis, riguardanti le c.d. "tolleranze costruttive".
In sostanza, il tecnico dovrà attestare che gli interventi rispettano le prescrizioni di cui alla sezione I del Capo IV della Parte II del d.P.R. n. 380/01 in materia di normativa per le costruzioni in zone sismiche.
Questa disposizione sembra risolvere, una volta per tutte, il problema della inammissibilità dell'autorizzazione sismica in sanatoria, sebbene il Genio Civile non sia provvisto di adeguate piattaforme digitali per rendere concretamente operativo l'istituto.
Come è noto, il d.P.R. n. 380/01 non contempla espressamente alcuna procedura di sanatoria c.d. "strutturale", ovvero riferita alla mancata denuncia preventiva o alla mancata richiesta di autorizzazione sismica.
È stato osservato, sul punto, che, costituendo l’autorizzazione sismica il presupposto del titolo edilizio, la mancanza della stessa necessariamente incide sulla procedura per il rilascio del permesso di costruire in sanatoria ex art. 36 d.P.R. n. 380 cit.
Sulla questione sono sorti orientamenti giurisprudenziali diversi:
- vi è da un lato, una posizione più radicale che sembra escludere in ogni caso la possibilità dell’autorizzazione postuma (Cass. pen., Sez. III, 22 febbraio 2024, n. 7720, 20 gennaio 2023, n. 2357; Cass. pen., Sez. III, 7 maggio 2019, n. 19196, e Cass. pen., Sez. III, 13 novembre 2018, n. 54707) e, dall'altro, vi sono pronunce che propendono, invece, per la possibilità, a determinate condizioni, di una autorizzazione ad intervento eseguito, laddove conforme alla specifica disciplina antisismica.
Indicazioni in tal senso provengono, in particolare, da una interessante sentenza del Consiglio di Stato, Sez. II, del 22 aprile 2024, n. 3645, che, dopo aver richiamato due pronunce "possibiliste" della Corte Costituzionale (sentenze del 29 maggio 2013, n. 101, e del 13 gennaio 2021, n. 2) e la c.d. "teoria dei poteri impliciti", ha affermato che l'amministrazione, se è titolare del potere di legittimare ex ante un’attività, non può, poi, non essere titolare anche del potere (implicito) di verificarne ex post la possibilità di regolarizzarla.
In altri termini, secondo il Consiglio di Stato, la carenza del titolo sismico preventivo non si risolve necessariamente in un rigetto della istanza di sanatoria, ove la parte dimostri di poterlo conseguire e di averlo richiesto, seppure in un momento successivo.
Quanto detto, purché, evidentemente, anche l'abuso "strutturale" si risolva in un abuso "formale", come confermato dall'art. 98, comma 3, del d.P.R. n. 380/01, il quale ammette esplicitamente la regolarizzazione dell'abuso in zona sismica, laddove consente al giudice penale di impartire, in luogo della demolizione delle opere o delle parti di esse costruite in difformità alle norme antisismiche, le prescrizioni necessarie per renderle conformi, fissando il relativo termine.
Di fatto, dunque, è possibile non solo un'integrazione postuma ma finanche un adeguamento strutturale, giacché la norma riferisce l'adeguamento alle opere (non alle pratiche) che il giudice disporrà avvalendosi necessariamente delle competenze di specialisti del settore.
Tale principio, basato sul riconoscimento del vaglio della rispondenza, in senso sostanziale, dell'intervento ai previsti requisiti di sicurezza è stato recepito dalla legge "SALVA CASA", la quale, come già evidenziato, prevede che lo Sportello Unico possa richiedere alla parte, nel corso del procedimento, interventi atti a garantire anche tali requisiti.
Le variazioni essenziali
Le variazioni essenziali sono modifiche di rilievo rispetto al titolo assentito, a metà strada tra la difformità totale e le difformità parziali, e consistono in:
- mutamenti della destinazione d’uso che implicano una variazione degli standard urbanistici;
- aumenti consistenti di cubatura o di superficie da valutare in relazione al progetto approvato;
- modifiche sostanziali dei parametri urbanistico-edilizi del progetto approvato o della localizzazione dell’edificio sull’area di pertinenza;
- mutamenti delle caratteristiche dell’intervento edilizio assentito;
- violazione delle norme vigenti in materia di edilizia antisismica.
Con una recente sentenza dell’8 ottobre 2024, n. 8072, il Consiglio di Stato, Sez. VI, ha ben chiarito la differenza esistente tra le difformità parziali e le variazioni essenziali, colmando un vuoto normativo che da anni dava origine ad interpretazioni controverse sul tema.
Leggesi in tale interessante decisione che:
“Secondo l’elaborazione della giurisprudenza di questa Sezione – alla quale il Collegio intende qui dare continuità – ai sensi degli artt. 31 e 32 t.u. edilizia, si è in presenza di difformità totali del manufatto o variazioni essenziali, sanzionabili con la demolizione, allorché i lavori riguardino un’opera ‘diversa’ da quella prevista dall’atto di concessione per conformazione, strutturazione, destinazione, ubicazione, mentre si configura la difformità parziale quando le modificazioni incidano su elementi particolari e non essenziali della costruzione e si concretizzino in divergenze qualitative e quantitative non incidenti sulle strutture essenziali dell’opera (ex aliis Cons. Stato, sez, VI, n. 7644 del 2023 e n. 3596 del 2023).
Stando alla definizione enunciata dal citato art. 32, dà, dunque, luogo a una variante essenziale «ogni modifica incompatibile con il disegno globale ispiratore dell’originario progetto edificatorio, tale da comportare il mutamento della destinazione d’uso implicante alterazione degli standard, l’aumento consistente della cubatura o della superficie di solaio, le modifiche sostanziali di parametri urbanistico-edilizi, il mutamento delle caratteristiche dell’intervento edilizio assentito e la violazione delle norme vigenti in materia antisismica; la nozione in esame non ricomprende, invece, le modifiche incidenti sulle cubature accessorie, sui volumi tecnici e sulla distribuzione interna delle singole unità abitative.
L’attribuzione a un intervento edilizio della natura di variazione essenziale comporta rilevanti conseguenze. Invero, mentre le varianti in senso stretto al permesso di costruire, ai sensi dell’art. 22, comma 2, t.u. edilizia, e cioè le modificazioni qualitative o quantitative di non rilevante consistenza rispetto al progetto approvato, tali da non comportare un sostanziale e radicale mutamento del nuovo elaborato rispetto a quello oggetto di approvazione, sono soggette al rilascio di permesso in variante, complementare e accessorio, anche sotto il profilo temporale della normativa operante, rispetto all’originario permesso a costruire; le variazioni “essenziali”, giacché caratterizzate da incompatibilità con il progetto edificatorio originario in base ai parametri ricavabili, in via esemplificativa, dall’art. 32 t.u. edilizia, sono soggette al rilascio di un permesso a costruire del tutto nuovo e autonomo rispetto a quello originario (Consiglio di Stato, sezione sesta, sentenze 3 giugno 2021, n. 4279 e 6 febbraio 2019, n. 891)» (Corte cost. n. 119 del 2024).
Un ulteriore richiamo alle variazioni essenziali è stato, da ultimo, operato dall’art. 36-bis d.l. n. 380 del 2001, introdotto dal d.l. n. 69 del 2024, convertito con l. n. 105 del 2024”.
Come già evidenziato, con la legge "SALVA CASA" le variazioni essenziali, come le difformità parziali, possono essere sanate se conformi alla normativa edilizia del tempo dell’intervento e a quella urbanistica della presentazione della domanda di sanatoria.
Prima della novella operava un diverso regime, in particolare in relazione alle aree assoggettate a vincolo paesaggistico, in quanto l’art. 32 del d.P.R. n. 380/01 così stabiliva:
“1. Fermo restando quanto disposto dal comma 1 dell’articolo 31, le regioni stabiliscono quali siano le variazioni essenziali al progetto approvato, tenuto conto che l’essenzialità ricorre esclusivamente quando si verifica una o più delle seguenti condizioni: a) mutamento della destinazione d’uso che implichi variazione degli standards previsti dal decreto ministeriale 2 aprile 1968, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 97 del 16 aprile 1968; b) aumento consistente della cubatura o della superficie di solaio da valutare in relazione al progetto approvato; c) modifiche sostanziali di parametri urbanistico-edilizi del progetto approvato ovvero della localizzazione dell’edificio sull’area di pertinenza; d) mutamento delle caratteristiche dell’intervento edilizio assentito; e) violazione delle norme vigenti in materia di edilizia antisismica, quando non attenga a fatti procedurali. 2. Non possono ritenersi comunque variazioni essenziali quelle che incidono sulla entità delle cubature accessorie, sui volumi tecnici e sulla distribuzione interna delle singole unità abitative. 3. Gli interventi di cui al comma 1, effettuati su immobili sottoposti a vincolo storico, artistico, architettonico, archeologico, paesistico, ambientale e idrogeologico, nonché su immobili ricadenti sui parchi o in aree protette nazionali e regionali, sono considerati in totale difformità dal permesso, ai sensi e per gli effetti degli articoli 31 e 44. Tutti gli altri interventi sui medesimi immobili sono considerati variazioni essenziali”.
La giurisprudenza, del resto, aveva ripetutamente affermato che « in presenza di interventi edilizi in zona paesaggisticamente vincolata, ai fini della loro qualificazione giuridica e dell’individuazione della sanzione applicabile, è indifferente la distinzione tra interventi eseguiti in difformità totale o parziale ovvero in variazione essenziale, in quanto l’art. 32, c. 3, d.P.R. 380/01, prevede espressamente che tutti gli interventi realizzati in zona sottoposta a vincolo paesaggistico eseguiti in difformità dal titolo abilitativo, inclusi quelli eseguiti in parziale difformità, si considerano come variazioni essenziali e, quindi, quali difformità totale » (così, fra le tante, Cons. Stato, Sez. VI, 2 agosto 2021, n. 5703, nonché Cass. Pen., Sez. III, 18 novembre 2019, n. 1443, secondo cui "in tema di violazioni edilizie, la cd. procedura di “fiscalizzazione” dell'abuso di cui all'art. 34, comma 2, del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 (…), non è applicabile alle opere realizzate in zona sottoposta a vincolo paesaggistico, perché queste non possono essere mai ritenute “in parziale difformità”, atteso che tutti gli interventi realizzati in tale zona eseguiti in difformità dal titolo abilitativo si considerano in variazione essenziale e, quindi, in difformità totale rispetto all'intervento autorizzato").
Il silenzio assenso sulle richieste di sanatoria
Con la legge "SALVA CASA" si supera anche il silenzio rigetto originariamente previsto per qualsiasi fattispecie e si introduce, per la prima volta, il principio del silenzio assenso sulle richieste di sanatoria.
La legge stabilisce, infatti, che, sulla richiesta di permesso in sanatoria, il dirigente o il responsabile del competente ufficio comunale si pronuncia con provvedimento motivato entro 45 giorni, decorsi i quali la richiesta si intende accolta.
Per le segnalazioni di inizio attività, si applica, invece, il termine di 30 giorni.
La nuova legge dimostra come l’istituto del silenzio assenso sia ormai considerato, dalla giurisprudenza più recente, un istituto generale del procedimento amministrativo volto a rafforzare gli strumenti di tutela del privato a fronte della inerzia dell'amministrazione, diretto, più precisamente, a “fluidificare” l'azione amministrativa, neutralizzando gli effetti paralizzanti dell'inerzia (v. Cons. Stato, Sez. VI, 13 marzo 2024, n. 2459, per il quale “una volta decorso il termine, il potere primario di provvedere si consuma e non vi è più spazio per l’adozione di un diniego tardivo, oggi espressamente considerato “inefficace” a mente dell’art. 2, comma 8-bis, della legge n. 241 del 1990 (…) residuando in capo all’amministrazione la sola possibilità di intervenire in autotutela sull’assetto di interessi formatosi silenziosamente”).
L’esigenza di semplificazione è volta, in altri termini, ad “impedire che le funzioni amministrative risultino inutilmente gravose per i soggetti amministrati”, come sottolineato anche dalla Corte costituzionale con sentenza n. 207 dell’8 luglio 2021.
D'altronde, il principio del silenzio assenso soddisfa anche l’esigenza di perseguire senza deleteri ritardi ed eccessi burocratici gli obiettivi del PNRR, monitorati costantemente dalla Commissione Europea e di fondamentale importanza per il sistema paese.
La legge "SALVA CASA" prevede ancora che, per le opere parzialmente difformi o con variazioni essenziali eseguite in zona vincolata, sarà pur sempre possibile presentare un'istanza di accertamento di compatibilità paesaggistica ai sensi dell’art. 167 del d.lgs. n. 42/04.
In tale ipotesi, l'autorità competente si pronuncia sulla domanda entro il termine perentorio di 180 giorni, previo parere vincolante della soprintendenza da rendersi entro il termine perentorio di 90 giorni.
Se i pareri non sono resi entro i termini di cui al secondo periodo, si intende formato il silenzio assenso e il dirigente o responsabile provvede autonomamente.
Anche in tal caso, come si vede, la legge "SALVA CASA" attinge alla giurisprudenza del Consiglio di Stato che, con la recente sentenza della Sezione VII, del 2 febbraio 2024, n. 1093, ha chiarito che anche all’accertamento di compatibilità paesaggistica si applica l’art. 17 bis della legge n. 241/90, ovvero il silenzio assenso.
Sotto il regime previgente, invece, la mancata risposta della soprintendenza nel termine prefissato integrava una fattispecie di silenzio rifiuto impugnabile, come ripetutamente affermato dalla prevalente giurisprudenza, secondo cui:
"Qualora non sia rispettato il termine di novanta giorni assegnato dall'art. 167, comma 5, del codice dei beni culturali e del paesaggio, per la valutazione di compatibilità paesaggistica delle opere per le quali è stata chiesta la sanatoria, il potere dell'organo ministeriale continua a sussistere, ma l'interessato può proporre ricorso al giudice amministrativo, per contestare l'illegittimità dell'inerzia. La perentorietà del termine riguarda, in altre parole, non la sussistenza del potere, ma l'obbligo di concludere la fase del procedimento, obbligo che, ove rimasto inadempiuto, può essere dichiarato sussistente dal giudice, con le relative conseguenze" (così, fra le tante, Cons. Stato, Sez. VI, 6 febbraio 2019, n. 895).
L'identico principio valeva anche per il comune, una volta decorso il termine di 180 giorni.
Il nuovo accertamento di compatibilità paesaggistica
Altra novità di rilievo è data dal fatto che, in base al comma 4 dell'articolo 36-bis, è possibile richiedere apposito parere vincolante in merito alla compatibilità paesaggistica delle opere parzialmente difformi o con variazioni essenziali, anche quando siano stati creati superficie utile o volume ovvero sia stato accertato l'aumento di quelli legittimamente realizzati.
Tale ultima previsione è stata inserita dalla legge di conversione e finisce per garantire una applicazione più ampia all'art. 36-bis, in quanto molti immobili sono ubicati all'interno di ambiti territoriali soggetti a vincolo paesaggistico (ad esempio, ai sensi dell'art. 142 o dell'art. 136, comma 1, lettere c e d del d.lgs. n. 42/04) ed anche perché si tratta di una prima ipotesi di revisione delle limitazioni previste in materia di accertamento di compatibilità paesaggistica.
Si consideri che la norma non fa riferimento ad alcun parametro di valutazione, come potrebbe essere quello derivante dalle prescrizioni del P.T.P. (valevole, tuttavia, per le opere da realizzare ma non anche per quelle già realizzate), ammettendo la sanatoria paesaggistica anche nei casi in cui gli interventi abbiano determinato incrementi di superficie e di volume.
La volontà del legislatore è chiara.
Nei casi contemplati dall'art. 36-bis, l'accertamento di compatibilità paesaggistica esteso alle opere additive non può che riguardare lo stato di fatto, il vincolo di protezione e la concreta rilevanza dell'offesa ai beni tutelati, sulla scia dei principi affermati in materia di condono edilizio dall'Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato nella nota sentenza del 22 luglio 1999, n. 20, con la quale è stato affermato che:
"La cura del pubblico interesse, in che si concreta la pubblica funzione, ha come sua qualità essenziale la legalità: è la legge che attribuisce la funzione e ne definisce le modalità di esercizio, anche attraverso la definizione dei limiti entro i quali possono ricevere attenzione gli altri interessi, pubblici e privati, con i quali l'esercizio della funzione interferisce. Compito, questo, peraltro, che nessuna norma può svolgere se non quella vigente al tempo in cui la funzione si esplica ("tempus regit actum"). Ne consegue che la pubblica amministrazione, sulla quale a norma dell'art. 97 incombe più pressante l'obbligo di osservare la legge, deve necessariamente tener conto, nel momento in cui provvede, della norma vigente e delle qualificazioni giuridiche che essa impone".
D'altra parte, se è pur vero che la Cassazione penale, con sentenza del 10 gennaio 2020, n. 14242, ha affermato che il P.T.P. prevale, quanto agli ampliamenti degli immobili ad uso abitativo, sulla disciplina "premiale" introdotta dalla legge della Regione Campania n. 19 del 2009 sul c.d. "Piano Casa", è altrettanto vero che il Consiglio di Stato, pur sempre in Adunanza Plenaria, ha ribadito, con sentenza del 7 aprile 2008, n. 2, che le norme del T.U. dell'edilizia sono norme di principio che prevalgono anche sulle norme delle Regioni a statuto ordinario con esse confliggenti.
Ciò precisato, va ricordato che, sotto il profilo procedurale, la nuova disposizione prevede che l'attivazione dell'accertamento di compatibilità paesaggistica sospende i termini del procedimento di sanatoria fino alla definizione dello stesso (art. 36-bis, comma 6).
La disposizione in questione trova, altresì, applicazione anche in caso di interventi oggetto di procedimento di sanatoria che "risultino incompatibili con il vincolo paesaggistico apposto in data successiva alla loro realizzazione" (art. 36-bis, comma 4, ultimo periodo), così ponendosi in continuità con i principi di diritto affermati in materia dalla giurisprudenza, oggetto, peraltro, di un articolato dibattito giurisprudenziale, i cui esiti possono così sintetizzarsi:
– “nel caso di sopravvenienza di un vincolo di protezione, l’Amministrazione competente ad esaminare l’istanza di condono proposta ai sensi delle leggi n. 47 del 1985 e n. 724 del 1994 deve acquisire il parere della Autorità preposta alla tutela del vincolo sopravvenuto, la quale deve pronunciarsi tenendo conto del quadro normativo vigente al momento in cui esercita i propri poteri consultivi” (Cons. Stato, Adunanza Plenaria, 22 luglio 1999, n. 20, cit.);
– per quanto sussista l’onere procedimentale di acquisire il necessario parere in ordine alla assentibilità della domanda di sanatoria, a prescindere dall’epoca d’introduzione del vincolo, l’autorità preposta deve esprimere non una valutazione di “conformità” delle opere alle predette previsioni, trattandosi di un vincolo non esistente al momento della loro realizzazione, bensì un parere di compatibilità paesaggistica dell’intervento edilizio abusivo” (Cons. Stato, Sez. VI, 30 settembre 2015, n. 4564).
Sempre il Consiglio di Stato, Sez. IV, con sentenza del 24 marzo 2023, n. 3006, ha, peraltro, chiarito che, «in sede di rilascio dell’autorizzazione paesaggistica si deve tener conto dei soli profili paesaggistici ed ambientali non potendo (più) verificarsi in quella sede anche il cd. “stato legittimo” dell’immobile»; ed ha predicato «la necessità … per l’autorità procedente … titolare della cura degli interessi paesaggistici … di valutare specificamente in sede di rilascio dell’autorizzazione paesaggistica l’incidenza dell’intervento progettato dal richiedente sul paesaggio in senso lato, e non gli aspetti attinenti alla regolarità urbanistica ed edilizia dell’opera, stante l’autonomia strutturale e funzionale del titolo paesaggistico rispetto a quelli implicanti l’accertamento della legittimità urbanistico-edilizia del medesimo progetto» (sul punto, v. anche Cons. Stato, Sez. IV, 27 novembre 2010, n. 8260; 21 agosto 2013, n. 4234; 13 aprile 2016, n. 1436; 25 ottobre 2017, n. 4908; Sez. VI, 30 ottobre 2017, n. 5016; Sez. IV, 19 maggio 2020, n. 3170; Sez. VI, 3 maggio 2022 n. 3446; Sez. II, 13 febbraio 2023, n. 1489).
LO STATO LEGITTIMO
La legge apporta modifiche significative anche all'art. 9-bis del d.P.R. n. 380/01, riguardante la disciplina relativa alla documentazione amministrativa inerente allo stato legittimo degli immobili al fine di semplificare la verifica della c.d. “conformità legale” di un immobile o di una sua parte.
Con la legge "SALVA CASA" lo stato legittimo di un immobile o di una singola unità immobiliare può essere dimostrato anche attraverso:
- eventuali titoli successivi che hanno autorizzato interventi parziali “a condizione che l’amministrazione competente, in sede di rilascio del medesimo, abbia verificato la legittimità dei titoli pregressi“;
- titoli rilasciati a seguito di procedimenti per l’accertamento di conformità in sanatoria ai sensi degli artt. 36 e 36-bis (previo pagamento delle sanzioni/oblazioni);
- il pagamento della sanzione pecuniaria dovuta a seguito di annullamento del permesso di costruire (che, come indicato all’art. 38, comma 2, produce gli stessi effetti del permesso di costruire in sanatoria).
Le modifiche consentono, pertanto, di semplificare il riconoscimento dello stato legittimo dell’immobile, soprattutto nei casi in cui si è in presenza di difformità formali, stabilendo che lo stesso possa essere comprovato alternativamente in base al titolo originario che ha permesso la sua costruzione ovvero da quello conseguito in seguito ad eventuali interventi costruttivi o di recupero sul medesimo, in tal modo superando le difficoltà, riscontrate in precedenza, nel comprovare lo stato legittimo soprattutto in riferimento agli immobili di risalente realizzazione per i quali i titoli abilitativi sono datati.
Prima della legge "SALVA CASA", a determinare lo stato legittimo di un immobile era il titolo abilitativo che ne aveva previsto la costruzione unitamente a quello che aveva disciplinato l'ultimo intervento edilizio.
La novella ha sostituito la congiunzione "e" con la disgiuntiva "o", rendendo di fatto i due titoli richiesti alternativi tra loro ai fini della dimostrazione dello stato legittimo.
In sintesi, il titolo deve riguardare l'intero immobile o l'intera unità immobiliare.
Se il titolo riguarda l'ultimo intervento edilizio, anche parziale, la verifica di legittimità deve avere ad oggetto anche i titoli che lo hanno preceduto, nessuno escluso.
7.1. Lo stato legittimo e il regime vincolistico
Nelle aree vincolate cosa accade?
In queste aree, come è noto, due sono i titoli richiesti sia per costruire che per sanare le opere già realizzate.
Lo stato legittimo, se riconosciuto in base alla nuova normativa per gli aspetti urbanistico-edilizi, vale anche per gli aspetti paesaggistici?
L’art. 9, 1-bis, del d.P.R. n. 380/01 nulla dice sul punto.
A ben vedere, anche l’art. 40 della legge n. 47/85, allorquando fa riferimento alla possibilità per il notaio di stipulare a determinate condizioni “atti tra vivi (…) relativi ad edifici o loro parti”, non distingue tra aree vincolate e non, limitandosi a stabilire che:
“Per le opere iniziate anteriormente al 1^ settembre 1967, in luogo degli estremi della licenza edilizia può essere prodotta una dichiarazione sostitutiva di atto notorio, rilasciata dal proprietario o altro avente titolo, ai sensi e per gli effetti dell’articolo 4 della legge 4 gennaio 1968, n. 15, attestante che l'opera risulti iniziata in data anteriore al 1^ settembre 1967”.
Va, tuttavia, evidenziato che, in sede di conversione, è stato specificamente disciplinato il caso delle opere realizzate entro l’11 maggio 2006 (da cui opera il divieto di autorizzazione paesaggistica ex post) in base a un titolo non preceduto dall'acquisizione dell'accertamento della compatibilità paesaggistica.
La norma prevede espressamente che dopo il comma 4 dell’art. 36-bis è aggiunto il seguente:
“4-bis. Le disposizioni dei commi 4, 5, 5-bis e 6 dell'articolo 36-bis del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380, introdotto dall’articolo 1 del presente decreto, si applicano anche agli interventi realizzati entro l’11 maggio 2006 per i quali il titolo che ne ha previsto la realizzazione è stato rilasciato dagli enti locali senza previo accertamento della compatibilità paesaggistica. La disposizione del primo periodo del presente comma non si applica agli interventi per i quali è stato conseguito un titolo abilitativo in sanatoria, a qualsiasi titolo rilasciato o assentito”.
La disposizione non vale, dunque, per i titoli in sanatoria comunque rilasciati e, pertanto, anche per i provvedimenti di condono edilizio non preceduti dall’autorizzazione paesaggistica e dal presupposto parere della Soprintendenza.
Anche tale principio risulta mutuato dalla giurisprudenza maggioritaria, per la quale:
« La disciplina urbanistica e quella paesaggistica si completano al fine di garantire una tutela integrata del territorio, ed il titolo paesaggistico è atto presupposto e necessario per il valido ed efficace rilascio del titolo edilizio ovvero del condono: a norma dell'art. 146 co. 4, D L.gs n. 42/2004 l'autorizzazione paesaggistica, anche in sanatoria (cd. accertamento di compatibilità paesaggistica), costituisce atto autonomo e presupposto rispetto al permesso di costruire o agli altri titoli legittimanti l'intervento urbanistico-edilizio: essa dà luogo ad un rapporto di presupposizione necessitato e strumentale tra valutazioni paesistiche e valutazioni urbanistiche, in modo tale che questi due apprezzamenti sono destinati ad esprimersi sullo stesso oggetto in stretta successione provvedimentale, con la conseguenza che l'autorizzazione paesaggistica va acquisita prima di intraprendere il procedimento edilizio, il quale non può essere definito positivamente per l'interessato in assenza del previo conseguimento del titolo di compatibilità paesaggistica » (cfr. Consiglio di Stato, Sez. IV, 9 febbraio 2016, n. 521; id. 27 novembre 2010, n. 8260; id., da ultimo, T.A.R. Sicilia Palermo, Sez. IV, 4 marzo 2024, n. 850).
D'altronde, l’art. 146 del d.lgs. n. 42/04 stabilisce, ai commi 1 e 2, che i proprietari, possessori o detentori a qualsiasi titolo di immobili ed aree di interesse paesaggistico, tutelati dalla legge, a termini dell'art. 142, o in base alla legge, a termini degli artt. 136, 143, comma 1, lettera d), e 157, devono “astenersi dall'avviare i lavori fino a quando non ne abbiano ottenuta l'autorizzazione”, dalle autorità preposte alla tutela del vincolo paesaggistico.
Al comma 4, inoltre, la norma precisa che “l'autorizzazione paesaggistica costituisce atto autonomo e presupposto rispetto al permesso di costruire o agli altri titoli legittimanti l'intervento urbanistico-edilizio.”.
Ne discende allora che il titolo edilizio rilasciato in assenza dell’autorizzazione paesaggistica debba ritenersi non illegittimo ma inefficace (cfr. Consiglio di Stato, Sez. IV, 14 dicembre 2015, n. 5663; Consiglio di Stato, Sez. VI, 28 dicembre 2021, n. 8641; Consiglio di Stato, Sez. IV, 21 maggio 2021, n. 3952; id. T.A.R. Campania Napoli, Sez. VI, 6 luglio 2023, n. 4025).
Stato legittimo e parti comuni
La legge “SALVA CASA” stabilisce, altresì, che, ai fini della dimostrazione dello stato legittimo della singola unità immobiliare, non rilevano le difformità e gli abusi presenti sulle parti comuni dell’edificio.
Allo stesso modo le irregolarità presenti su un singolo immobile non hanno rilevanza sullo stato legittimo dell’edificio (e pertanto non possono intralciare la ristrutturazione delle parti condivise dell’edificio).
Sanzioni e concorso in stato legittimo
Il nuovo art. 9-bis, comma 1-bis, del d.P.R. n. 380/01, come modificato dalla legge "SALVA CASA", stabilisce che concorrono allo stato legittimo anche il pagamento delle sanzioni di cui agli artt. 33, 34, 37, commi 1, 3, 4, 5 e 6, e 38 (di cui si è già detto), nonché la dichiarazione di cui all’articolo 34-bis.
Si tratta dei casi seguenti:
- la sanzione alternativa alla demolizione nel caso di interventi di ristrutturazione edilizia in assenza di permesso di costruire o in totale difformità;
- la sanzione alternativa alla demolizione nel caso di interventi eseguiti in parziale difformità dal permesso di costruire;
- la sanzione prevista per gli interventi realizzati in assenza o difformità dalla SCIA leggera;
- la sanzione prevista per gli interventi di restauro e di risanamento conservativo realizzati in assenza di SCIA su immobili vincolati o non vincolati ma compresi in zona A;
- la sanzione prevista in caso di SCIA tardiva;
- la dichiarazione di un tecnico abilitato relativa alle tolleranze costruttive-esecutive.
Restano ferme le disposizioni di cui all’art. 9, comma 1-bis, secondo cui, per gli immobili realizzati in un’epoca nella quale non era obbligatorio acquisire il titolo abilitativo edilizio, lo stato legittimo è quello desumibile dalle informazioni catastali di primo impianto, o da altri documenti probanti, quali le riprese fotografiche, gli estratti cartografici, i documenti d’archivio, o altro atto, pubblico o privato, di cui sia dimostrata la provenienza, e dal titolo abilitativo che ha disciplinato l’ultimo intervento edilizio che ha interessato l’intero immobile o unità immobiliare, integrati con gli eventuali titoli successivi che hanno abilitato interventi parziali.
Tali disposizioni si applicano anche nei casi in cui sussista un principio di prova del titolo abilitativo del quale, tuttavia, non sia disponibile copia.
IL MUTAMENTO DI DESTINAZIONE D'USO
La legge “SALVA CASA” ha introdotto modifiche anche all’art. 23-ter del d.P.R. n. 380/01 in materia di mutamento d’uso urbanisticamente rilevante volte ad agevolare i cambi di destinazione d’uso di singole unità immobiliari, specialmente all’interno delle aree urbane, prevedendo, in particolare, il principio dell’indifferenza funzionale tra destinazioni d’uso omogenee, così come individuate dalla legge statale o regionale.
Le destinazioni d’uso rilevanti, definite dall’art. 23-ter, sono suddivise in 5 macroaree:
- residenziale (abitazioni, studi professionali, affittacamere);
- turistico-ricettiva (alberghi e in generale gli immobili a prevalente carattere ricettivo);
- produttiva e direzionale (laboratori artigianali, industrie, magazzini, imprese edili, officine);
- commerciale (bar, pub, negozi, ristoranti);
- agricola (immobili collegati a produzioni agrarie, allevamenti e forestazione, campi coltivati, vivai di fiori e piante, boschi, pascoli, abitazioni rurali, agriturismi).
La legge “SALVA CASA” ha stabilito che è sempre consentito il mutamento della destinazione d’uso della singola unità immobiliare (con e senza opere), nel rispetto delle normative di settore e ferma restando la possibilità per gli strumenti urbanistici comunali di fissare specifiche condizioni, nei seguenti casi:
- all’interno della stessa categoria funzionale (1-bis);
- tra le categorie funzionali residenziale; turistico-ricettiva; produttiva e direzionale e commerciale per le unità immobiliari ubicate in edifici in zone A (centro storico), B (zone totalmente o parzialmente edificate diverse dai centri storici) e C (zone destinate a nuovi complessi insediativi) di cui all’articolo 2 del decreto del Ministro dei lavori pubblici 2 aprile 1968, n. 1444 (comma 1-ter).
Si consideri che la Cassazione aveva in precedenza chiarito, con sentenza della Sezione III del 20 maggio 2019, n. 22038, che non si può modificare senza autorizzazione la destinazione d'uso di un edificio, indipendentemente dalla sua ubicazione, attraverso il suo artificioso frazionamento.
Tale principio, rapportato in concreto al reato di lottizzazione abusiva, è stato affermato in relazione alla trasformazione di un complesso alberghiero in 23 appartamenti "divenuti di proprietà esclusiva degli acquirenti, alcuni dei quali con autonomi allacciamenti domestici all'energia elettrica".
Le unità immobiliari così realizzate risultavano, nel caso esaminato dalla Corte, "prive di ogni servizio comune", come invece sarebbe stato necessario in un albergo, ed erano anche "soggette a divisione millesimale e a regolamento condominiale allegato a ogni singolo atto di compravendita".
È stato, altresì, previsto che, per le singole unità immobiliari, il mutamento di destinazione d’uso è sempre consentito qualora il mutamento finalizzato alla forma di utilizzo dell’unità immobiliare sia conforme a quella prevalente nelle altre unità immobiliari presenti nell’immobile.
È stato precisato, inoltre, che sono considerati "senza opere" i cambiamenti di destinazione d’uso che non richiedono lavori di costruzione e che rientrano, quindi, tra gli interventi di edilizia libera.
Va ricordato al riguardo che, secondo quanto previsto dal d.P.R. n. 31/17, All. A.1, fra le opere in aree vincolate escluse dall’autorizzazione paesaggistica sono ricomprese “le opere interne che non alterano l’aspetto esteriore degli edifici, comunque denominate ai fini urbanistico-edilizi, anche ove comportanti mutamento della destinazione d’uso”.
Sempre in tema, la legge “SALVA CASA” dispone che il mutamento non è assoggettato all’obbligo di reperimento di ulteriori aree per servizi di interesse generale, previsto dal decreto del Ministro dei lavori pubblici n. 1444 del 2 aprile 1968 e dalle disposizioni di legge regionale né al vincolo della dotazione minima obbligatoria dei parcheggi previsto dalla legge 17 agosto 1942, n. 1150.
Resta fermo l’obbligo di pagamento degli oneri di urbanizzazione secondaria, ove previsto.
Viene data, poi, anche la possibilità di modificare la destinazione d’uso di primi piani e seminterrati.
Il cambio di destinazione d’uso in queste due fattispecie deve, però, risultare disciplinato dalla legislazione regionale che prevede i casi in cui gli strumenti urbanistici comunali possono individuare specifiche zone nelle quali le disposizioni di cui ai commi 1-ter, 1-quater e 1-quinquies si applicano anche alle unità immobiliari poste al primo piano fuori terra o seminterrate.
In Campania, la legge regionale 10 agosto 2022, n. 13, prevede genericamente, all'art. 2, comma 4, che "non sono urbanisticamente rilevanti le modifiche di destinazione d'uso, accompagnate o non accompagnate dall'esecuzione di opere, che non generano incremento del fabbisogno degli standard urbanistici, come previsto dall'articolo 27, comma 2, della legge regionale 28 dicembre 2021, n. 31 (Disposizioni per la formazione del bilancio di previsione finanziario per il triennio 2022-2024 della Regione Campania - Legge di stabilità regionale per il 2022)".
I cambi di destinazione d’uso sono soggetti al rilascio dei seguenti titoli:
- Segnalazione Certificata di Inizio Attività (e non C.I.L.A.) nel caso in cui non vi siano opere edilizie;
- titolo richiesto per l’esecuzione delle opere necessarie al cambio di destinazione d’uso nei restanti casi.
L’EDILIZIA LIBERA
La legge “SALVA CASA” apporta modifiche anche all’art. 6, comma 1, del d.P.R. n. 380/01, facendo rientrare in edilizia libera:
- le vetrate panoramiche amovibili VePA (modifica alla lett. b-bis nell’art. 6, comma 1);
- le opere per la protezione dal sole o da agenti atmosferici (introduzione della lett. b-ter nell’art. 6, comma 1).
Le VePA
La legge prevede la possibilità di installare vetrate panoramiche amovibili e totalmente trasparenti, anche per la chiusura di logge o di porticati, ossia “tutti quegli elementi edilizi coperti al piano terra degli edifici, intervallati da colonne o pilastri e aperti su uno o più lati verso l’esterno dell’edificio” rientranti all’interno dell’edificio.
È invece necessario ottenere un permesso per installare le VePA su porticati “gravati, in tutto o in parte, da diritti di uso pubblico o collocati nei fronti esterni dell’edificio prospicienti aree pubbliche”.
Va precisato che lo spazio delimitato dalle VePA non può subire un mutamento di destinazione d'uso.
In ordine alle opere di protezione dal sole e dagli agenti atmosferici
Per quanto riguarda le strutture di protezione dal sole e dagli agenti atmosferici, composte principalmente da tende, il nuovo comma b-ter individua varie tipologie, tra cui:
- tende;
- tende da sole;
- tende da esterno;
- tende a pergola, anche pergole bioclimatiche, con telo retrattile, anche impermeabile, ovvero con elementi di protezione solare mobili o regolabili.
Queste strutture possono essere realizzate in regime di edilizia libera, a patto che sia verificata la sussistenza di alcuni presupposti.
Innanzitutto, devono essere addossate o annesse agli edifici o alle unità immobiliari, anche se richiedono strutture fisse per il loro sostegno e l’estensione.
È importante che non creino uno spazio chiuso in modo permanente, in modo da evitare variazioni di volumi e superfici.
Inoltre, devono avere caratteristiche tecnico-costruttive e un’estetica tali da minimizzare l’impatto visivo e l’ingombro apparente.
Infine, devono integrarsi armoniosamente con le linee architettoniche preesistenti degli edifici.
In precedenza, già il Consiglio di Stato aveva chiarito, con riferimento a una pergotenda, che la stessa “quale elemento di protezione dal sole e dagli agenti atmosferici, finalizzato ad una migliore fruizione dello spazio esterno dell’unità abitativa, si qualifica in termini di mero elemento accessorio, e non consente di ricondurre l’attività della sua installazione tra quelle che il D.P.R. 380/2001 assoggetta a permesso di costruire, trattandosi di struttura di arredo, costituita da struttura leggera e amovibile, caratterizzata da elementi in metallo o in legno di esigua sezione, coperta da telo anche retrattile, stuoie in canna o bambù o materiale in pellicola trasparente, priva di opere murarie e di pareti chiuse di qualsiasi genere, costituita da elementi leggeri, assemblati tra loro, tali da rendere possibile la loro rimozione previo smontaggio e non per demolizione”.
Dal punto di vista paesaggistico, come chiarito dal d.P.R. n. 31/17, l'installazione di tende parasole su terrazze, prospetti o in spazi pertinenziali ad uso privato non richiede alcuna autorizzazione.
Sono escluse dal regime autorizzatorio anche i manufatti come "tende, pedane, paratie laterali frangivento, elementi ornamentali, ombreggianti o altre strutture leggere di copertura e prive di parti in muratura o strutture stabilmente ancorate al suolo", posti a corredo di attività economiche quali esercizi di somministrazione di alimenti e bevande, attività commerciali, turistico-ricettive, sportive e del tempo libero.
LE TOLLERANZE COSTRUTTIVE
La legge "SALVA CASA" introduce significative modifiche anche alle tolleranze costruttive, ovvero le difformità edilizie consentite entro determinati limiti.
In relazione agli interventi realizzati entro il 24 maggio 2024, le tolleranze costruttive sono riparametrate in misura inversamente proporzionale alla superficie utile.
Pertanto, minore è la superficie utile maggiore è il limite consentito percentualmente.
La misura consente di tenere conto, nell’ambito della definizione della tolleranza, di scostamenti minimi rispetto alle caratteristiche costruttive previste nei titoli abilitativi che, se considerate su superficie di modesta entità, possono impattare per più del 2 per cento del totale.
Più nello specifico, il mancato rispetto dell’altezza, dei distacchi, della cubatura, della superficie coperta e di ogni altro parametro delle singole unità immobiliari previsto dal titolo abilitativo non costituisce violazione edilizia, né paesaggistica ai sensi del d.P.R. n. 31/17, se contenuto entro i seguenti limiti:
- del 2% per le unità immobiliari con superficie utile superiore ai 500 metri quadrati;
- del 3% per le unità immobiliari con superficie utile compresa tra i 300 e i 500 metri quadrati;
- del 4% per le unità immobiliari con superficie utile compresa tra i 100 e i 300 metri quadrati;
- del 5% per le unità immobiliari con superficie utile inferiore ai 100 metri quadrati.
- del 6% per le unità immobiliari con superficie utile inferiore ai 60 metri quadrati.
LE TOLLERANZE ESECUTIVE
Ulteriori disposizioni riguardano, poi, le tolleranze esecutive (o di cantiere), ovvero le irregolarità geometriche, le modifiche alle finiture degli edifici di minima entità, la diversa collocazione di impianti e opere interne eseguite durante i lavori oggetto di titoli abilitativi edilizi.
La norma (art. 34-bis, comma 2, del d.P.R. n. 380/01) richiede la riconducibilità specifica a opere di maggiore portata che possano aver generato incertezze esecutive: occorre quindi un cantiere di lavoro, attivato per attuare un titolo edilizio.
Le difformità di cantiere sono quei minimi scostamenti che possono avvenire in sede di tracciamento o rifinitura.
È stabilito che gli interventi realizzati entro il 24 maggio 2024 costituiscono tolleranze esecutive nei seguenti casi:
- minore dimensionamento dell’edificio;
- mancata realizzazione di elementi architettonici non strutturali;
- irregolarità geometriche e modifiche alle finiture degli edifici di minima entità, irregolarità esecutive di muri esterni ed interni e difforme ubicazione delle aperture interne;
- difforme esecuzione di opere rientranti nella nozione di manutenzione ordinaria;
- errori progettuali corretti in cantiere ed errori materiali di rappresentazione progettuale delle opere.
Per le unità immobiliari ubicate nelle zone sismiche, ad eccezione di quelle a bassa sismicità, il tecnico dovrà attestare, analogamente a quanto previsto dal comma 3-bis dell'art. 36-bis, che gli interventi rispettano le prescrizioni di cui alla sezione I del Capo IV della Parte II del d.P.R. n. 380/01 in materia di normativa per le costruzioni in zone sismiche.
La nuova norma sulle tolleranze esecutive intende, in definitiva, regolarizzare in automatico e alle condizioni sopra indicate, i piccoli scostamenti legati alla realizzazione materiale delle opere, se presenti sin dalla realizzazione dell’immobile, ovvero il minore dimensionamento degli elementi presenti negli immobili e gli errori di esecuzione (pareti in una posizione differente o con una forma diversa rispetto a quanto autorizzato, finestre collocate in una posizione diversa o leggermente più grandi, le nicchie o per le porte interne, anch’esse spostate rispetto ai documenti ufficiali).
LE VARIANTI IN CORSO D’OPERA DEL TITOLO RILASCIATO PRIMA DEL GENNAIO 1977
Con la legge “SALVA CASA” viene introdotto anche il nuovo art. 34-ter del d.P.R. n. 380/01, che prevede la possibilità di regolarizzare gli interventi realizzati come varianti in corso d’opera che costituiscono parziale difformità dal titolo rilasciato prima del gennaio 1977, anche se non rientrano nelle tolleranze già previste.
Per dimostrare l’epoca di realizzazione dei lavori, si possono utilizzare, come prove, informazioni catastali, riprese fotografiche, estratti cartografici, documenti d’archivio e altri atti pubblici o privati.
In alternativa, un professionista può attestare l’anno dei lavori, sotto la propria responsabilità.
Per sanare l’abuso il proprietario potrà presentare una SCIA e pagare una sanzione.
Anche le parziali difformità realizzate durante l’esecuzione dei lavori oggetto di un titolo abilitativo, che siano state esaminate dai funzionari del comune in fase di rilascio dell’abitabilità ma che non siano state contestate, potranno essere sanate come tolleranze costruttive (senza pagamento di una sanzione).
Va detto - per inciso - che la Corte costituzionale, con sentenza del 21 ottobre 2022, n. 217, ha dichiarato incostituzionale la legge della Regione Veneto n. 19/2021, che aveva introdotto una disciplina volta a regolarizzare, a determinate condizioni, gli abusi c.d. "storicizzati", come le "variazioni non essenziali", di data antecedente al 30 gennaio 1977, addebitati a proprietari incolpevoli, e al 1^ settembre 1967, se realizzati in zone esterne ai centri abitati o alle zone di espansione previste da eventuali piani regolatori.
La Corte, nel qualificare come principio fondamentale della materia l'art. 9, comma 1-bis, del d.P.R. n. 380/01, ha ritenuto non convincente "l'argomentazione sviluppata dalla difesa regionale, secondo la quale, prima dell'entrata in vigore della legge n. 10/77, le variazioni non essenziali, in quanto non disciplinate, sarebbero state per prassi consentite, fatta salva la semplice ispezione in vista del rilascio del certificato di abitabilità ex art. 221 del regio decreto 27.7.1935, n. 1265", affermando, altresì, che, anche prima del 1^ settembre 1967, "vi erano comuni nei quali era obbligatorio munirsi di un titolo abilitativo edilizio, sia sulla base di fonti primarie riferite a territori sismici, sia sulla base di fonti non primarie, che però attingevano la loro legittimazione dalla fonte primaria attributiva del potere regolamentare".
L’ABITABILITÀ
Sono superati i requisiti per l’abitabilità del 1975 ed è consentito al progettista responsabile di asseverare la conformità del progetto alle norme igienico-sanitarie nelle seguenti ipotesi:
- locali con un’altezza minima interna inferiore a 2,70 metri fino al limite massimo di 2,40 metri;
- alloggio monostanza, per una persona, con una superficie minima, comprensiva dei servizi, inferiore a 28 metri quadrati, fino al limite massimo di 20 metri quadrati, e, per due persone, inferiore a 38 metri quadrati fino al limite massimo di 28 metri quadrati.
Ai nuovi parametri di abitabilità sono applicate le tolleranze al 2% .
L’asseverazione può essere resa ove sia soddisfatto il requisito dell’adattabilità, in relazione alle specifiche funzionali e dimensionali, previsto dal regolamento di cui al decreto del Ministro dei lavori pubblici 14 giugno 1989, n. 236, e risulti osservata almeno una delle seguenti condizioni:
- i locali siano situati in edifici sottoposti ad interventi di recupero edilizio e di miglioramento delle caratteristiche igienico-sanitarie;
- sia contestualmente presentato un progetto di ristrutturazione con soluzioni alternative atte a garantire, in relazione al numero degli occupanti, idonee condizioni igienico-sanitarie dell’alloggio, ottenibili prevedendo una maggiore superficie dell’alloggio stesso e dei vani abitabili, ovvero la possibilità di una adeguata ventilazione naturale favorita dalla dimensione e tipologia delle finestre, dai riscontri d’aria trasversali e dall’impiego di mezzi di ventilazione naturale ausiliari.
IL RECUPERO DEI SOTTOTETTI
Al fine di incentivare l’ampliamento dell’offerta abitativa limitando il consumo di nuovo suolo, il recupero dei sottotetti è comunque consentito, nei limiti e secondo le procedure previste dalla legge regionale, anche quando l’intervento di recupero non consenta il rispetto delle distanze minime tra gli edifici e dai confini, a condizione che siano rispettati i limiti di distanza vigenti all’epoca della realizzazione dell’edificio, che non siano apportate modifiche, nella forma e nella superficie, all’area del sottotetto come delimitata dalle pareti perimetrali e che sia rispettata l’altezza massima dell’edificio assentita dal titolo che ha previsto la costruzione del medesimo.
Tale disposizione, nella Regione Campania, è di scarsa utilità.
Infatti, il recupero abitativo dei sottotetti in Campania è già previsto, in senso ancora più favorevole, dalla legge regionale del 2 novembre 2000, n. 15.
L’art. 3 definisce le condizioni in cui l’operazione è possibile e fissa a metri 2.40 l’altezza media minima dei locali abitabili; se il soffitto non dovesse essere orizzontale, l'altezza della parete minima dovrà essere invece uguale o superiore a 1.40 metri. Sono previste eccezioni: in zone di montagna, ad un’altitudine superiore ai 600 metri, l’altezza media interna (che si calcola dividendo il volume interno lordo per la superficie interna lorda) può essere anche di 2.20 metri.
La legge regionale, inoltre, consente l’abbassamento della quota dell’ultimo solaio esistente (a patto che vengano preservate stabilità e sicurezza dell’edificio, l'estetica della facciata e l'abitabilità del piano sottostante) ma non ammette che vengano apportate modifiche alle falde né all’altezza di colmo e gronda, Infine, consente di aprire - purché nel rispetto dei caratteri strutturali e formali dell’immobile - porte, finestre, lucernari e abbaini.
LE SANZIONI
Sono state riviste le sanzioni pecuniarie per il rilascio del permesso e la segnalazione certificata di inizio attività in sanatoria.
15.1. In relazione al permesso di costruire in sanatoria
Il rilascio del permesso di costruire in sanatoria è subordinato al pagamento, a titolo di oblazione, di un importo pari al doppio del contributo di costruzione.
Questo significa che, se un intervento edilizio è stato realizzato in modo non conforme, il soggetto responsabile deve pagare una somma che equivale a due volte l’importo normalmente dovuto come contributo di costruzione.
Nel caso in cui il contributo di costruzione sia gratuito per legge, la sanzione sarà determinata in base a quanto previsto dall’articolo 16 del d.P.R. n. 380/01 (contributo per il rilascio del permesso di costruire), incrementato del 20% se l’intervento è stato realizzato in parziale difformità dal permesso di costruire.
Questo incremento si applica anche in caso di variazioni essenziali, come definite dall’articolo 32.
L’incremento del 20% non si applica invece se l’intervento è conforme alla normativa urbanistica ed edilizia vigente sia al momento della realizzazione che al momento della presentazione della domanda di sanatoria.
In relazione alla SCIA in sanatoria
Il rilascio della SCIA in sanatoria è subordinato al pagamento, a titolo di oblazione, di un importo pari al doppio dell’aumento del valore venale dell’immobile, calcolato dall’Agenzia delle Entrate. Questa sanzione si applica nei casi disciplinati dall’art. 37 del d.P.R. n. 380/01.
L’importo della sanzione, determinato dal responsabile del procedimento, non può essere, comunque, inferiore a 1.032 euro e superiore a 10.328 euro.
Qualora l’intervento risulti conforme alla normativa urbanistica ed edilizia vigente sia al momento della realizzazione che al momento della presentazione della domanda di sanatoria, l’importo della sanzione è stabilito in misura non inferiore a 516 euro e non superiore a 5.164 euro.
Anche nel caso in cui venga accertata la compatibilità paesaggistica di un intervento edilizio, si applica una sanzione pecuniaria determinata sulla base di una perizia di stima.
Tale sanzione corrisponde al maggiore importo tra il danno arrecato e il profitto conseguito.
Se la domanda di sanatoria o di compatibilità paesaggistica viene rigettata, si applica la sanzione della demolizione dello stato dei luoghi prevista dall’articolo 167, comma 1, del d.lgs. n. 42/04.
La norma - a ben vedere - utilizza impropriamente il termine “demolizione”, sia perché la demolizione comporta la semplice distruzione fisica della “res” abusiva, nel mentre il ripristino conduce alla ricostituzione dell'habitat originario (flora, fauna selvatica, ecc.), sia perché l’art. 167 cit. prevede espressamente che “in caso di violazione degli obblighi e degli ordini previsti dal Titolo I della Parte terza, il trasgressore è sempre tenuto alla rimessione in pristino a proprie spese, fatto salvo quanto previsto al comma 4”.
Si è precisato, infatti, in giurisprudenza che:
“In materia di tutela dei beni paesaggistici, la rimessione in pristino contemplata dal d. Lgs. n. 42 del 2004 presuppone generalmente (anche se non necessariamente) un quid pluris rispetto alla mera demolizione delle opere abusive, occorrendo cioè, alla luce dell’impatto delle attività abusive, il compimento di condotte di tempestivo recupero dell’area sottoposta al vincolo paesaggistico, che siano in grado di far riacquistare alla stessa il precedente aspetto esteriore, con conseguente recupero del suo originario pregio estetico. In tal senso, la causa estintiva ex art. 181 comma 1 quinquies del d. Lgs. n. 42 del 2004 ha un’evidente “funzione premiale”, essendo volta a incentivare le iniziative che, in contesti territoriali meritevoli di tutela, mirino a restituire all’area interessata dai lavori abusivi la sua connotazione originaria, condizione questa che, nel caso di specie, è stata ragionevolmente ritenuta non sussistente né possibile, in ragione del fatto che i manufatti in esame erano stati demoliti e dunque non erano più recuperabili nel loro preesistente valore storico".
Ulteriori sanzioni
Sono previste, infine, ulteriori sanzioni in caso di interventi edilizi in assenza o in difformità dalla segnalazione certificata di inizio attività (art. 37).
La sanzione pecuniaria, in tali ipotesi, passa dal doppio al triplo dell’aumento del valore venale dell’immobile conseguente alla realizzazione degli interventi stessi e con importo non inferiore a 1.032 euro.
In caso di interventi eseguiti in parziale difformità dal permesso di costruire (art. 34), è prevista la rimozione o la demolizione.
Quando la demolizione non può avvenire senza pregiudizio della parte eseguita in conformità, il dirigente o il responsabile dell’ufficio applica una sanzione pari al triplo del costo di produzione della parte dell’opera realizzata in difformità dal permesso di costruire, se ad uso residenziale, e pari al triplo del valore venale, determinato a cura della agenzia del territorio, per le opere adibite ad usi diversi da quello residenziale.
CONCLUSIONI
La legge "SALVA CASA" rappresenta senza dubbio un passo avanti rispetto a un quadro normativo incerto e lacunoso, nel quale la stessa giurisprudenza fa fatica ad indicare le giuste soluzioni.
La legge sicuramente offre spunti innovativi sul piano della semplificazione degli istituti.
Supera, infatti, i tabù della sanatoria condizionata e della inammissibilità dell'autorizzazione sismica in sanatoria, riduce le limitazioni precedentemente imposte dall'art. 167 del d.lgs. n. 42/04 in materia di accertamento di compatibilità paesaggistica, prevedendo il silenzio assenso in luogo dell'originario silenzio-rifiuto, sottopone a revisione la categoria delle tolleranze, riparametrandone i contenuti in ragione della superficie dell'immobile, sostituisce il silenzio rigetto con il silenzio assenso seppure in relazione al solo accertamento di "monoconformità urbanistica" di nuovo conio.
Amplia, inoltre, i casi di possibile mutamento della destinazione d'uso al fine di evitare nuovi insediamenti nelle aree edificate, compresi i centri storici, così ponendo un argine al progressivo consumo del suolo.
La legge in questione, tuttavia, essendo slegata da una riforma organica del T.U. dell'edilizia, finisce per generare un vero e proprio cortocircuito sul tema delle acquisizioni, lasciando, comunque, impregiudicate altre problematiche, come quella sullo "stato legittimo" dipendente dall'ultimo titolo abilitativo che ha interessato l'intero immobile o l'intera unità immobiliare: "stato legittimo" che, però, può ritenersi provato solo se l'amministrazione competente, in sede di rilascio del titolo, abbia verificato la legittimità dei titoli pregressi, tutt'altro che scontata.
Lo stesso è a dirsi, naturalmente, in caso di SCIA, allorquando il tecnico asseveratore abbia dichiarato, nella propria relazione o nella relativa modulistica, che i titoli precedentemente rilasciati sono legittimi, la qualcosa presuppone, pur sempre, approfondite indagini talvolta dall’esito incerto.
Altra criticità è data dal fatto che manca, ad oggi, una modulistica aggiornata con la legge "SALVA CASA", essendo quella disponibile ormai completamente superata.
E questo è certamente un ostacolo all'attuazione concreta della legge, come evidenziato dal Comitato scientifico dell'UNITEL (Unione Nazionale Italiana Tecnici Enti Locali), che ha ricordato "l'accordo della Presidenza del Consiglio dei Ministri siglato nella Conferenza Unificata del 2017" circa la necessità, in linea con la riforma Madia, di adoperare moduli standardizzati per la presentazione di segnalazioni, comunicazioni e istanze.
Tirando le fila del ragionamento e tralasciando ogni altro rilievo, sono personalmente dell'avviso che, invece di dialogare sui “massimi sistemi” e partorire leggi, come questa del "SALVA CASA", utili ma nient'affatto risolutive del fenomeno dell'edilizia "fai da te", che esiste e non lo si può negare, finendo per interessare tutto lo stivale, pur variando per entità da Regione a Regione, si potrebbe una volta per tutte gettare la maschera, approvando una legge (questa sì di "pace edilizia") tesa alla definitiva "riabilitazione" dell'edificato, laddove possibile, condizionata all’esecuzione, da parte del trasgressore, di opere di prevenzione del rischio sismico ed idrogeologico, di bonifica, di bioedilizia, di messa in sicurezza permanente, nell’ottica di un miglioramento complessivo della qualità architettonica, energetica ed abitativa del patrimonio edilizio esistente.
Tale legge rappresenterebbe un formidabile volano di contrasto alla crisi economica e di tutela dei livelli occupazionali attraverso il rilancio dell’attività edilizia legale mediante un modello di sviluppo ecosostenibile, basato sull’utilizzo consapevole delle risorse naturali e paesaggistiche e sulla salvaguardia dell’ecosistema a vantaggio delle generazioni future.
Non sarebbe un condono ma un "ravvedimento operoso", una soluzione ragionevole ad un problema che è sotto gli occhi di tutti e che solo la politica nazionale può affrontare e risolvere, a patto di sposare la regola della "tolleranza zero" per chi dovesse in futuro, in barba alla legge, commettere nuovi abusi