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Paga sempre “Pantalon”?

futuro
Ph. Giorgia Pavani / futuro

Paga sempre “Pantalon”?

«Gli errori dei potenti vengono pagati sempre dal più debole, cioè dal popolo. Il detto fa riferimento a Pantalon de’ Bisognosi, povero veneziano che all’interno della commedia dell’arte rappresentava l’uomo del popolo vittima delle angherie dei potenti». (Fonte: sapere.virgilio.it)

«Con la sentenza n. 644/2021 la Sezione Giurisdizionale per la Regione Lazio aveva riconosciuto la responsabilità di due consulenti per aver fatto ingiustamente sostenere all’ENPAM le spese per la ristrutturazione dei titoli finanziari derivati (cd. CDO) acquistati negli anni dal 2004 al 2007, condannandoli, in via solidale, alla rifusione della somma complessiva di € 39.479.541,60, oltre gli interessi legali e le spese di giudizio. Su impugnativa dei condannati, la Sezione Giurisdizionale di Appello della Corte di Appello ha riformato la sentenza con una motivazione che merita di essere ripresa e segnalata. Secondo quanto riportato nella sentenza impugnata, proprio la criticità della composizione dei titoli sottostanti aveva comportato la necessità della loro ristrutturazione da parte di ENPAM e la loro sostituzione con altri titoli. A parere degli appellanti, a contrario, tale ristrutturazione non sarebbe stata affatto necessaria stante la natura dell’investimento e l’elevato rating dei titoli che ne garantiva la solidità e l’acclusa garanzia di restituzione del capitale alla scadenza. Poiché la scelta di effettuare la ristrutturazione dell’investimento non si sarebbe posta quale scelta necessitata, bensì quale libera e autonoma volontà dei vertici di ENPAM di modificare il portafoglio degli investimenti, non condizionata da alcun imminente rischio di perdita del capitale investito, gli appellanti concludevano nell’affermare che doveva essere esclusa la configurabilità di un qualsiasi nesso di causalità tra il danno patrimoniale prodottosi (le spese connesse alla ristrutturazione dei CDO) e le condotte dei medesimi serbate nella vicenda (la proposizione dell’investimento in titoli CDO).

Sul punto il Collegio ha rilevato che, come confermato dalle consulenze tecniche acquisite agli atti, l’investimento in titoli CDO si sostanziava, in vero, in un investimento in obbligazioni con rimborso del capitale alla scadenza, garantito da una pluralità di emittenti, in funzione di un rating assai elevato (AA+ e AAA), cui andava ad aggiungersi un rendimento annuo, la cui misura percentuale dipendeva dall’andamento di indici o titoli sottostanti. Come evidenziato anche nelle relazioni dei consulenti tecnici del P.M. penale, acquisite agli atti del giudizio di primo grado, le CDO in questione erano state appositamente realizzate per ENPAM, unico sottoscrittore, e godevano di una sorta di “cuscinetto di protezione” che garantiva il rimborso integrale del capitale, anche nell’ipotesi in cui i diversi titoli contenuti nel paniere fossero stati colpiti da default. Orbene, in disparte il rendimento prodotto annualmente dai titoli in questione, la documentazione versata agli atti del giudizio, compresa quella proveniente dalla stessa fondazione ENPAM, conferma, in modo inequivocabile e incontestato, che i titoli strutturali di cui è causa, al momento della loro scadenza (quasi tutti l’anno 2016), non solo non hanno prodotto perdite, ma hanno addirittura generato rendimenti positivi. A tal fine, a parere del Collegio risultano rilevanti le conclusioni contenute nella consulenza del prof. Antonio Salvi del 29.04.2019 laddove, sulla base dell’effettiva evoluzione della prestazione dei titoli CDO, risulta dimostrato che se ENPAM avesse tenuto gli stessi fino alla loro naturale scadenza, non solo avrebbe guadagnato 6,1 milioni di euro ma avrebbe anche incassato le cedole annuali per un importo complessivo di 30,3 milioni di euro. Ne consegue che se ENPAM avesse mantenuto i citati titoli nel proprio portafoglio sino alla loro natura scadenza (anno 2016), invece che procedere, con notevole anticipo, alla loro ristrutturazione, (rectius: sostituzione), l’ingente danno patrimoniale, oggetto del presente giudizio contabile, non si sarebbe verificato. Infatti, tutti i titoli, nonostante le sopravvenienze sfavorevoli verificatisi nei mercati finanziari internazionali a partire dal 2008, se la ristrutturazione non avesse avuto luogo, sarebbero stati integramente rimborsati alla loro naturale scadenza e avrebbero generato anche un rendimento positivo, compresi i tre titoli collocati da Lehman Brothers. Secondo la Corte dei Conti, l’ENPAM avrebbe dovuto ponderare con maggiore attenzione e prudenza la decisione di procedere alla ristrutturazione dei CDO, tanto più che nel 2010 il termine di scadenza risultava ancora lontano (oltre un quinquennio) e che verosimilmente, stante anche la ciclicità degli andamenti dei mercati finanziari, sussistevano ancora ampi margini di recupero delle eventuali perdite (come poi di fatto avvenuto). Per la Corte dei Conti, in buona sostanza, l’operazione di ristrutturazione dei CDO, cui è conseguito l’ingente danno patrimoniale subito da ENPAM, non era affatto necessaria con la conseguenza che deve escludersi qualsiasi nesso di causalità per il danno di cui è causa e le condotte degli appellanti. Risulta per tabulas che ai fini dell’operazione di ristrutturazione, ENPAM ha sostenuto ingenti costi, pari a complessivi € 65.799.236,00 rappresentanti il danno contestato dalla Procura Regionale nell’atto di citazione e ripartiti come segue:

- € 43.678.532,00 a titolo di commissioni liquidate agli advisor per i titoli CDO;

- € 761.109,38 a titolo di spese legali per la rinegoziazione dei titoli CDO;

- € 3.148.985,82 a titolo di spese legali inerenti alle azioni di rivalsa nei confronti delle banche emittenti i titoli CDO;

- € 17.590.641,74 a titolo di minus valenze realizzata in bilancio a seguito della dismissione dei titoli Safir e del titolo Anthtracite;

- € 619.967,06 a titolo di spese legali attinenti alla negoziazione dei titoli Lehman Brothers.

Chi paga questi danni? Ovviamente Pantalone. E chi è Pantalone? Sono gli iscritti in ENPAM, obbligati per legge ad esserlo». (Fonte: Gli Stati Generali della previdenza dei professionisti e la Corte dei Conti, di Paolo Rosa del 15.03.2023 su Diritto e Giustizia).

Ma chi ha ristrutturato i CDO non può essere chiamato a rispondere dopo la sentenza d’appello della Corte dei Conti, ormai definitiva, dopo l’estinzione del ricorso in Cassazione?

Ovviamente c’è un problema di prescrizione.

Ma sulla prescrizione si può fare una riflessione.

La giurisprudenza di legittimità si è consolidata nel tempo ribadendo “che la decorrenza iniziale del termine di prescrizione del diritto al risarcimento del danno da responsabilità professionale (che è di natura contrattuale) si ha non già dal momento in cui la condotta del professionista determina l’evento dannoso, bensì da quello in cui la produzione del danno si manifesta all’eterno, divenendo oggettivamente percepibile e riconoscibile da chi ha interesse a farlo valere” (ex plurimis, Cass. n. 3176/2016; Cass. n. 18606/2016; Cass n. 22059/2017 e, più recentemente, Cass. 25.07.2023, n. 22250).

L’amministratore di una società ma anche di una fondazione, nell’ambito della sua attività, va incontro a responsabilità contrattuale, come riconosciuto da Cassazione 11.11.2010, n. 22911.

Anche la giurisprudenza della Corte dei Conti afferma che: “Il momento di decorrenza del termine di prescrizione quinquennale per esercitare il diritto risarcitorio è da collocarsi non al momento in cui si è realizzato il fatto dannoso, bensì alla data della sua scoperta ovvero quando viene in essere la conoscibilità obiettiva dello stesso”. (Corte dei Conti, Sezione giurisdizionale per il Piemonte, Sentenza 18 gennaio 2021, n. 7, Presidente: Pinotti, Estensore: Mezzapesa).

Occorrerà valutare anche le nuove norme in tema di responsabilità degli amministratori di fondazioni nel Codice del Terzo settore, il quale dispone l'applicazione dello statuto normativo previsto dal codice civile per gli amministratori di società per azioni.

«Nei confronti dell’ente la responsabilità è di tipo contrattuale: l’art. 18 c.c. prevede che “gli amministratori sono responsabili verso l’ente secondo le norme del mandato”. Il mandato (ex art. 1703 c.c.) “è il contratto con il quale una parte si obbliga a compiere uno o più atti giuridici per conto dell’altra”: l’amministratore è quindi un mandatario della Fondazione, ovverossia del patrimonio vincolato dal fondatore al perseguimento dello scopo statuario. Quanto alla responsabilità del mandatario, l’art. 1710 c.c. prevede che “il mandatario è tenuto a eseguire il mandato con la diligenza del buon padre di famiglia”. E chi è il buon padre di famiglia, cui del resto si riferisce anche l’art. 1176 c.c., relativamente alla diligenza del debitore dell’adempimento delle sue obbligazioni? Secondo la Corte di Cassazione è chi usa di “quella diligenza che è lecito attendersi da qualunque soggetto di media avvedutezza e accortezza, consapevole dei propri impegni e delle relative responsabilità”: in definitiva ordine, e onesto buon senso, con un costante obbligo di informazione (pure previsto dall’art. 1710 c.c.) sulle circostanze inerenti l’esercizio del mandato, nei confronti del “mandante”, e quindi nei confronti del complesso dell’organo esecutivo, del Consiglio di amministrazione, in cui come abbiamo detto si incorpora la volontà dell’ente. Vi sono temperamenti ed esclusioni. L’art. 18 del codice civile prevede espressamente che è esente da responsabilità nei confronti della Fondazione “quello degli amministratori che non abbia partecipato all’atto che ha causato il danno” salvo che, pur non avendo partecipato, questo soggetto fosse a conoscenza dell’atto che si stava per compiere; in tal caso, per andare esente da responsabilità, l’amministratore deve far comunque constatare a verbale, o comunque con comunicazione ufficiale ed esplicita, il proprio dissenso. Va aggiunto che la giurisprudenza ritiene applicabile anche alle fondazioni la norma dettata dell’art. 2434 c.c. per le società di capitali: l’approvazione del bilancio non implica liberazione degli amministratori da responsabilità incorse nella gestione sociale. La Cassazione ritiene infatti che la disciplina del bilancio ha natura imperativa e risponde all’interesse pubblico al regolare svolgimento della attività economica. Quindi indipendentemente da singoli atti con i quali far constatare il proprio dissenso vi è un generale dovere di fedeltà e sorveglianza di tutta la gestione economica dell’ente. Ma non vi è responsabilità solo nei confronti dell’ente: l’art. 19 del codice civile si riferisce alla responsabilità contrattuale degli amministratori nei confronti dei terzi, ovvero quando ci si rapporta con i terzi, siano essi persone fisiche o giuridiche, per stipulare contratti, per intrattenere rapporti di rilevanza giuridica. Orbene l’art. 19 c.c. prevede che non siano opponibili ai terzi le limitazioni del potere di rappresentanza dell’ente che non risultano dai pubblici registri: ossia stabilisce e tutela l’affidamento che i terzi contraenti fanno sulla qualità degli amministratori rappresentanti dell’ente con cui instaurano relazioni: ne consegue che noi, come amministratori, dobbiamo ben essere consapevoli che impegnano l’ente che in noi si incorpora e che, se lo facciamo senza potere o in eccesso di potere, obblighiamo l’ente stesso (salvo dimostrare che il terzo era a conoscenza della imperfezione del potere esercitato), ma l’ente potrà rivalersi su di noi, per la violazione del mandato, per l’abuso della diligenza del buon padre di famiglia.» (Fonte: La responsabilità civile degli amministratori delle fondazioni di diritto privato, avv. Enrico Bertelli Leonesio, Foro di Brescia)

Allora tema per i futuri avvocati: esaminati i fatti, è proponibile altra azione di responsabilità nei confronti di chi ha ristrutturato i CDO acquistati negli anni dal 2004 al 2007? In tal caso è ragionevole sostenere che la prescrizione decorre dal 01.03.2023, data di pubblicazione della sentenza n. 88/2023 della Corte dei Conti, Sezione Prima Giurisdizionale Centrale d’Appello?