PICASSO

Guernica - Pablo Picasso - Museo Reina Sofia (Madrid)
Guernica - Pablo Picasso - Museo Reina Sofia (Madrid)

PICASSO

Chi è Picasso? Picasso è colui che pedissequamente ritrae, addirittura fotografa il nostro tempo. Certamente è più nella realtà attuale lui di tutti gli altri suoi colleghi intesi a fortificarsi coraggiosamente in una cittadella ormai quasi deserta, per conservare agli uomini il sapore di una vita (sia pure la sola degna dei figli di Dio), che però non sanno più gustare. Egli ha il pregio di essere il grande fotografo del nostro tempo e ha il difetto che di questo tempo ne porta la caducità, la drammatica leggerezza e forse la profezia di una civiltà consunta, esausta, una civiltà giunta al suo epilogo. Picasso, infatti, non è comunista come non è comunista il nostro tempo; gli uomini, anche se spesso e in molti, sono attratti dal miraggio della nuova e più giusta società non sanno però adattarvisi, in parte per l'utopia di essa ma soprattutto perché non hanno più spalle adatte a sostenere il peso di un ordine, di un castello ideale, di un qualsiasi decalogo sociale. È per questo che intellettuali, snob, e milionari si ritrovano in Picasso, egli rappresenta infatti la fragilità, l'insicurezza, la provvisorietà, assieme alla follia momentanea che conforta con l'evasione da qualsiasi ordine stabilito.

   Egli, però, fa tutto questo con l'innocenza di un eterno bambino, di tutto è pronto a stupirsi e di tutto può far gioco come di tutto lo afferra il dubbio, il dubbio amaro che assilla il nostro tempo, il dubbio di legittimità posto alla base di ogni pensiero, di ogni moto, di ogni desiderio. Così egli tutto chiede, vuol toccare, aprire, smontare; il suo passatempo consiste in un meccano alla rovescia dove lui si diletta a disfare e svitare per riordinare e ripresentare il tutto secondo un nuovo aspetto, un aspetto insolito e insoluto o addirittura insolente ma che soltanto un ragazzo prodigio può trovare nelle cose. Un aspetto che si fa beffe della logica comune, di ogni principio d'ordine ma che pure conserva in sé una vita prepotente come la si può avvertire, per esempio, nelle rovine di un tempio abbattuto e ridotto a pochi frammenti, nella scintilla di un fuoco che guizza crepitante, o nella vitalità rimasta nella coda recisa di una lucertola: una vita affannosamente intenta a dar prova di sé forse proprio perché sente di essere già nella morte.

   <La vita di Picasso è sempre la stessa: si corica tardi, non si alza molto presto, va al caffè, gira per le strade e lavora... La sua foggia del vestire è poco cambiata>. È infatti un uomo modesto a cui basta poco per vivere e al quale le ricchezze che possiede o che avrebbe potuto possedere non turbano i sogni né alterano l'esistenza. Questa sua vita intesa a tutto riplasmare, rivedere, provare; questa ricerca di una meta ignota lo porta a lavorare alla giornata, in una continua irrequietezza che gli fa rifiutare il già fatto per ripartire sempre da capo sperimentando nuove possibilità che subito abbandonerà per altre speculazioni e altre ancora, stupito egli stesso delle sue grandi risorse che pure non riescono a placare la sete di un qualcosa che non può afferrare neppure lui, un qualcosa che forse non appartiene più agli uomini.

   E così resta il fenomeno di questa vita spesa in un lavoro enorme, un lavoro che non ha però edificato nessun tempio ma che semmai ha rivelato il frangersi di un sogno negli uomini per scoprirli in tutta la loro avvilente nudità e pochezza. Picasso è dunque l'espressione dell'infelicità del nostro tempo, difetti e pregi sono in lui e per lui messi a fuoco: eclettismo, volubilità, ansia di novità, indecisione insieme a possibilità straordinarie, paurose, ma quasi sempre tese a distruggere il mondo come è stato per millenni senza dimostrare di saperne edificare uno nuovo.

   Sono le due del mattino del giorno 9 marzo dell'anno MCMXXXVI. Sabartès, tu che conosci personalmente le ore, dì a quella delle otto e trenta di fare un salto fino al mio letto e di svegliarmi. È un biglietto messo da Picasso sotto la porta dell'amico poeta che si alzerà prima di lui e lo desterà. Noi, avessimo un amico che conoscesse personalmente le ore, lo pregheremmo invece non farle venire a destarci, non abbiamo nessun desiderio di vivere la realtà rivelata da Picasso; preferiamo rimanere nella esigua schiera di chi ancora sa illudersi pur senza perdere di vista il cammino della storia. L'opera di questo virtuoso desta in noi ammirazione per l'ingegno che tutto sa adattare, sfruttare e convertire in forme di sconvolgente vitalità, ma non possiamo in nessun caso amarla, ha essa il sapore di una insidia dalla quale ci guarderemo sempre.

Sigfrido Bartolini

(Firenze - 10 gennaio 1967-Totalità)