Ricerca

la faccia della luna
Ph. Veronica Locatelli / la faccia della luna

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Aveva ormai compilato una trentina di taccuini: disegni, citazioni, sensazioni, idee. Si lasciava ispirare da quello che le accadeva nel corso di una giornata, sebbene talvolta fosse priva di energie e capitava non si appuntasse niente di niente per settimane. Si trattava della sua personalissima ricerca: voleva carpire il segreto delle cose, delle persone, comprendere le dinamiche, osservarle attentamente per poi dedurre qualcosa, sintetizzare fino all’osso, stillare dei significati universali dai quali ripartire. Era la sua raccolta dati, la sua indagine. Cercava di lasciarsi provocare dalla realtà in modo puro; da qualche tempo, infatti, si allenava a mettere da parte il suo pensiero per riuscire a vedere le cose nel momento stesso in cui accadevano così com’erano, senza pregiudizi, poi chiudere gli occhi e ascoltare quali sentimenti o idee nascevano in lei. Ne aveva viste troppe di stramberie, di progetti mandati a monte dal destino, di percorsi al rovescio, di vite bloccate, “se vuoi far ridere Dio, raccontagli dei tuoi progetti” recitava un proverbio ebraico, e lei Dio l’aveva fatto ridere così tante volte che ora voleva conoscere il motivo di tanta ilarità.

Era un’operazione delicata che richiedeva profonda onestà e pulizia di sguardo, per questo aveva dovuto distruggere tante false credenze che si era ripetuta come un mantra per anni, senza verificarle mai. Aveva creduto che la felicità avesse una forma ufficiale, forse uguale per tutti, ma ora le era chiaro che non era così, che costringere la vita ai suoi pensieri umani e limitati sarebbe stata ben poca cosa. Che cos’era la felicità per lei? Per quella che era ora, una donna che non poteva riconoscersi in una forma approvata dal mondo. Si sdraiò sul divano, chiuse gli occhi per ascoltare la sua memoria. La felicità l’aveva sbirciata quando a tavola con i suoi fratelli ci si raccontava vecchie storie o quando lei e Monica in treno si erano lasciate andare a confidenze profonde, accolte in silenzio prima dall’una e poi dall’altra. Quando la mamma le aveva fatto la spesa, intuendo le sue difficoltà economiche e le aveva detto che ci sarebbe sempre stata. Le venne infine in mente quando lui le aveva accarezzato piano la testa con una dolcezza che teneva in serbo da anni.

A questo punto avrebbe dovuto smettere di prendere appunti sulla vita e magari accelerare, accorciare i tempi, come aveva visto fare da qualcuno in ufficio, che aveva celebrato la sua rinascita con unghie tigrate e un profumo talmente speziato da stordire un cavallo; avrebbe dovuto conformarsi anche lei alla felicità organizzata? No, non era quello il segreto.

Avrebbe invece ammesso il suo fallimento agli occhi di uno stupido mondo, ma non a quelli dell’immensa energia vitale che spariglia le carte e propone cose inaspettate, sfidanti, più grandi dei nostri piccoli obiettivi. Sarebbe risorta con il sole e avrebbe accolto gli eventi, senza cercare di dominarli, ma donando il raccolto della sua personalissima Recherche, il suo talento.

Prese un taccuino a caso e, vicino a un disegno di ghirigori intricati, lesse: “Cerca il tuo piccolo sentiero, contempla la realtà, ascoltati e agisci”.