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Sinner e il doping: non c'è colpa, ma serve un risk manager

Jannik Sinner, immagine tratta da Wikimedia Commons, the free media repository
Jannik Sinner, immagine tratta da Wikimedia Commons, the free media repository

Sinner e il doping: non c'è colpa, ma serve un risk manager

 

Esplosa come una bomba verso la fine dell’estate, la notizia del coinvolgimento di Jannik Sinner in un procedimento per doping ha fatto il giro del mondo e sta facendo discutere.

Ciò era d’altra parte scontato, non solo perché si tratta in questo momento del tennista in testa alla classifica maschile, ma anche per la personalità del giovane atleta, sorridente (almeno fino a qualche mese fa, quando l’inchiesta iniziò), semplice e di buoni princìpi: insomma, il tipico bravo ragazzo che ce l’ha fatta, compensando un fisico parecchio acerbo con la dedizione, l’allenamento e la saldezza mentale.

Nonostante sino al 6 settembre sia possibile un appello, in queste brevi note prenderò per definitivamente acclarati i fatti accertati nella decisione del Tribunale indipendente[1] che, pur togliendo all’atleta i premi e i punti del torneo di Indian Wells (durante il quale uno dei prelievi ‘incriminati venne eseguito), ha anche accertato l’assenza di colpa da parte del tennista. Non avrebbe infatti senso, in mancanza di documentazione tale da smentirli, mettere in discussione questi fatti e la sentenza appare nel complesso ragionevole. Inoltre, ciò che qui mi preme maggiormente è sottolineare come, proprio alla luce di questi fatti, la complessiva “gestione” di un atleta come Sinner non è stata adeguata e richiede urgenti miglioramenti.

Questi dunque i fatti accertati:

1. In primavera, durante un torneo in California, due analisi trovarono nel sangue di Sinner tracce di uno steroide vietato. Le tracce erano assolutamente minime, ai limiti della rivelabilità analitica. I frequenti controlli precedenti e successivi erano tutti in regola.

2. Questo il percorso accertato della contaminazione: il fisioterapista dello staff di Sinner si era ferito ad una mano ed era in trattamento con una pomata (farmaco da banco in Italia) contenente lo steroide, fornitagli dal preparatore atletico, pure facente parte dello staff. Massaggiando senza guanti Sinner (che a sua volta aveva piccole ferite sul corpo, a causa di una dermatite), il sangue dell’atleta si è contaminato (in tracce).

3. La decisione del Tribunale indipendente (ancora soggetta ad appello) è stata: Sinner non sapeva e, inoltre, non ha colpe. Quindi nessuna sospensione a suo carico, ma, per la responsabilità oggettiva, perdita di punti e premi in denaro del Torneo californiano.

Il fisioterapista e il preparatore atletico (il quale aveva suggerito la pomata al primo) sono stati allontanati dal team.

La conclusione del Tribunale indipendente, secondo la quale Sinner non ha colpe dirette nell'accaduto, appare, alla luce delle prove fornite, ragionevole.

Poiché tuttavia mi occupo da una vita di sicurezza e procedure, mi permetto di evidenziare che, nella gestione di un atleta rinomato come Sinner, vi sono ampi margini di miglioramento.

Le regole sul doping sono giustamente severe, perché: i) tutti gli atleti devono poter confidare sul fatto che i loro avversari non siano dopati; ii) gli atleti giovani e alle prime armi (che non possono essere controllati con la frequenza applicata ai campioni) devono capire che, se migliorano grazie al doping, la loro carriera sarà distrutta; iii) non si può controllare nemmeno un campione tutti i giorni, quindi è giusto che anche tracce assolutamente minime di sostanze vietate siano rilevanti.

Dunque, per un atleta di primo piano, il coinvolgimento in un procedimento antidoping è un evento possibile, proprio a causa della severità delle regole vigenti, che comportano conseguenze anche per colpa lieve o addirittura in caso di assenza di colpa diretta, dunque per (una sorta di) responsabilità oggettiva. Il rischio è da considerare molto seriamente anche perché le modalità di possibile “ingresso” di sostanze dopanti, per quanto in tracce minime, nel corpo di un atleta sono innumerevoli: potenzialmente, tutti i contatti possono costituire un pericolo. Ingaggiare professionisti esperti è necessario e opportuno, ma non riduce a sufficienza il rischio, perché anche gli esperti qualche volta sbagliano, esattamente come sbagliano, qualche volta, i piloti di aereo: ed è per questo che nell’aviazione le procedure e la ridondanza dei sistemi di sicurezza sono tanto importanti.

Ora, tutte le moderne regole e teorie della sicurezza spiegano che, per diminuire in modo radicale i rischi, occorre:

- Stabilire preventivamente procedure precise per la gestione delle attività a rischio (in prospettiva doping, i contatti dell’atleta con le persone del suo team lo sono; lo è anche l'assunzione, e persino la mera presenza, di farmaci in luoghi frequentati dall'atleta);

- Affidare la sorveglianza sul rispetto di tali procedure ad una persona NON coinvolta nella gestione, assistenza e training dell’atleta: una persona che in sostanza viene pagata soltanto per pretendere il rispetto di ogni particolare delle procedure stabilite, conducendo periodiche verifiche a sorpresa.

Se questa organizzazione fosse stata presente, certamente il fisioterapista non avrebbe potuto assumere un medicinale senza una verifica preventiva del rischio doping (sono infatti già accadute in passato contaminazioni dovute a medicinali in uso non da parte dell’atleta, ma da persone del suo staff o della sua famiglia).

Applicare procedure e seguire liste di controllo può essere considerato noioso, ma è l’unico vaccino disponibile per prevenire determinati rischi, come spiegato in uno straordinario volume di un medico statunitense[2].

Speriamo che, per il futuro, Sinner, come ogni altro atleta importante, abbia una gestione più moderna di questi processi.

 

[1] Consultabile al seguente link: chrome-extension://efaidnbmnnnibpcajpcglclefindmkaj/https://www.itia.tennis/media/yzgd3xoz/240819-itia-v-sinner.pdf.

[2] Atul Gawande, Come far andare meglio le cose, Einaudi, 2021.