Una donna single può accedere alla procreazione medicalmente assistita? La parola alla Consulta
Una donna single può accedere alla procreazione medicalmente assistita? La parola alla Consulta
Abstract: Una donna single può avere accesso a tecniche di procreazione medicalmente assistita? Per il momento la legge 40/2004 glielo impedisce, consentendo tale pratica solo alle coppie, ma una recente ordinanza del Tribunale di Firenze ha sollevato la questione di fronte alla Corte Costituzionale, che sarà chiamata a valutare se tale esclusione sia costituzionalmente legittima.
L’art. 5 della legge 40/2004 consente l’accesso a pratiche di procreazione medicalmente assistita esclusivamente alle coppie di maggiorenni di sesso diverso, siano esse coniugate o semplicemente conviventi, purché in età potenzialmente fertile e viventi. Il ricorso a tale tecnica è consentito, tra l’altro, solo ove sia stata accertata o dichiarata l’infertilità di uno o di entrambi i membri della coppia (art. 4, l. 40/2004).
Per poter accedere alle pratiche mediche in questione, quindi, è assolutamente necessaria la presenza di due partners: di conseguenza, bisogna dedurre dal testo legislativo che una donna single non può, da sola, far ricorso alla tecnica della procreazione medicalmente assistita (nel prosieguo, p.m.a.).
Tale esclusione è legittima?
Il Tribunale di Firenze ha recentemente sollevato una questione di costituzionalità proprio di questo tenore, chiedendo alla Consulta se sia conforme al dettato costituzionale la mancata previsione della possibilità per le donne single di avere accesso a pratiche di p.m.a.
In primo luogo, sottolinea il giudice a quo, la discriminazione nell’accesso a tali pratiche appare irragionevole e pertanto in contrasto con l’art. 3 Cost. L’esclusione della donna single dall’accesso alle tecniche di p.m.a. non sarebbe volta a tutelare nessun interesse costituzionalmente rilevante: il nostro ordinamento, infatti, riconosce e tutela anche la famiglia monogenitoriale.
Ad esempio, un single, sia uomo, sia donna, può fare ricorso all’adozione in casi particolari.
Inoltre, qualora una donna single si rechi all’estero per fare ricorso a pratiche di p.m.a. nei Paesi nei quali l’accesso è consentito anche a singoli soggetti e non esclusivamente a coppie, al suo rientro in Italia il rapporto di filiazione del bambino nato con la fecondazione in vitro potrà essere riconosciuto.
In ultimo, la stessa Corte Costituzionale con sentenza n. 161/2003 ha consentito alla donna rimasta sola, perché separata o perché rimasta vedova dopo l’accesso alla pratica di p.m.a. effettuato con il consenso del partner, di procedere con l’impianto dell’embrione nell’utero.
Da tutti questi elementi è possibile evincere che l’ordinamento riconosce anche la famiglia costituita con un unico genitore, garantendo una tutela a chi, seppur singolarmente, scelga di formare una nuova relazione familiare. L’ordinamento non appare, quindi, contrario al fatto che un minore possa crescere anche privo delle figure di entrambi i genitori, tanto da permettere di fondare ex novo una famiglia persino nelle ipotesi di separazione tra i coniugi ovvero di morte del padre. Procedere con la p.m.a. anche in seguito alla morte del padre significa ammettere che un bambino possa nascere programmaticamente orfano, pertanto, non si vede per quale motivo dovrebbe essere esclusa la possibilità di accedere alle tecniche di fecondazione artificiale alla donna che non ha ancora trovato il proprio partner.
In secondo luogo, rileva la Corte Costituzionale, il mancato riconoscimento della facoltà della donna single di accedere alla p.m.a. rischia di determinare una violazione della libertà di autodeterminazione della donna con riferimento alle scelte procreative. Impedire ad una donna single di ricorrere alle considerate pratiche significa limitare la sua libertà di scegliere se e quando costruire una famiglia con figli non genetici. Non si tratta, in questo caso, di riconoscere un vero e proprio diritto alla genitorialità, ma di lasciare che una donna da sola possa creare la propria famiglia anche in assenza di un partner, esplicando così appieno la propria personalità attraverso la formazione sociale probabilmente più importante che l’ordinamento conosca.
L’art. 5, l. 40/2004 risulterebbe lesivo anche del diritto della donna alla tutela della sua salute nella prospettiva di diventare madre. Stanti le innegabili difficoltà che si possono presentare nella scelta di un partner, una donna potrebbe rischiare di arrivare al termine dell’età fertile senza aver trovato alcun coniuge o convivente favorevole a prestare il proprio consenso per l’accesso alle tecniche di fecondazione artificiale. Il risultato sarebbe così una lesione del suo diritto alla salute e alla scelta di diventare madre.
In ultimo, a parere del giudice rimettente, l’art. 5, l. 40/2004 sarebbe in contrasto con l’art. 117 Cost., in relazione alle fonti sovranazionali e, in particolare, agli artt. 8 e 14 della Convenzione Europea dei Diritti dell’omo e gli artt. 3, 7, 9 e 35 della Carta di Nizza. Tali disposizioni prevedono il diritto al rispetto della vita privata e familiare, il diritto all’integrità fisica e psichica e la considerata discriminazione si risolverebbe, secondo il giudice a quo, in una lesione della libertà di autodeterminazione nelle scelte di vita familiare che tali previsioni internazionali pacificamente riconoscono.
Le argomentazioni addotte dal Tribunale di Firenze appaiono logiche e coerenti, tuttavia, non si può nascondere che la questione rimessa all’attenzione della Corte Costituzionale sottenda scelte valutative piuttosto complesse, che toccano temi etici, sociali e morali. La scelta di escludere dall’accesso alle tecniche di procreazione medicalmente assistita donne single ovvero di includerle appare fortemente discrezionale. Solo il legislatore, in quanto organo espressione della volontà popolare, dovrebbe essere chiamato a effettuare bilanciamenti tra diritti diversi in situazioni così delicate. In questo caso la Corte Costituzionale è, infatti, chiamata a decidere se sia più importante far prevalere il diritto della donna single a procreare ovvero il diritto del minore ad avere due genitori.
In generale, la legge 40/2004 tocca temi particolarmente delicati, più sociali che giuridici, e sarebbe auspicabile che modifiche a tale disciplina provenissero dal Parlamento, il quale, convogliando le istanze provenienti dalla base sociale, rappresenta l’organo più idoneo a esprimere la volontà dello Stato. La Corte Costituzionale, per quanto giudice delle leggi e garante dei diritti fondamentali, in presenza di temi simili dovrebbe limitarsi a lanciare un monito al legislatore, riconoscendo i limiti del proprio ruolo.
Qualora, comunque, la Consulta scegliesse di intervenire sulla questione, dichiarando l’incostituzionalità dell’art. 5, l. 40/2004, dovrà tenere in considerazione che la sensibilità sociale negli ultimi decenni si è radicalmente modificata rispetto al passato, anche sulla spinta di istanze provenienti dall’Unione Europea, con un’ormai pacifica accettazione delle nuove forme di famiglia. Accogliere ogni tipo di unione, fondata sull’accordo delle parti, sul matrimonio, o sulla registrazione della convivenza appare oggi agli occhi dei più come una fondamentale espressione della libertà di autodeterminazione dei singoli.
La Corte Costituzionale è, quindi, chiamata a decidere se, nel quadro attuale, vi sia uno spazio anche per dipingere donne che, con coraggio e con amore, scelgono di avere una gravidanza senza il supporto di un partner al loro fianco.
In fondo, i casi della vita possono portare allo stesso identico risultato, anche se non voluto o non sperato al momento dell’inizio della gravidanza.
In una società nella quale va innalzandosi l’età alla quale una donna diventa madre per la prima volta e il numero dei nuovi nati diminuisce drasticamente di anno in anno, consentire anche a donne single di avere accesso alla p.m.a. non sarà sufficiente a risolvere il problema del calo della natalità, ma potrebbe comunque rivelarsi un valido strumento per il riconoscimento di diritti fondamentali della persona umana, che nella famiglia e nell’amore esplica la propria personalità.